In una relazione di 78 pagine, approvata all’unanimità dalla commissione regionale Antimafia, il presidente Claudio Fava, deputato dei Cento Passi, ricostruisce il depistaggio attorno alla strage di Via D’Amelio, che costò la vita al giudice Paolo Borsellino: “La stessa mano, non mafiosa, che accompagnò Cosa Nostra nell’organizzazione della strage – ha spiegato Fava nella conferenza andata in scena ieri a Palazzo dei Normanni – potrebbe essersi mossa, subito dopo, per determinare il depistaggio e allontanare le indagini dall’accertamento della verità”. Fava ha parlato di una serie di “anomalie, irritualità e forzature” e di “un concorso di responsabilità che va oltre l’ex procuratore di Caltanissetta Tinebra e l’ex capo della Squadra Mobile La Barbera e chiama in causa magistrati, vertici dei servizi segreti e della polizia di Stato”. E ancora: “Se non vi fosse stata una pervicace resistenza individuale e collettiva, non saremmo stati costretti ad aspettare la collaborazione di Gaspare Spatuzza, nel 2008, per orientare le indagini nella direzione opportuna”. Tra le conclusioni di un’inchiesta che ha visto il forfait di personaggi chiave – dal pm Di Matteo in giù – ce n’è una di particolare interesse: la famosa agenda rossa del giudice Borsellino non è stata sottratta da una mano mafiosa. Fava adesso auspica l’apertura degli archivi dell’Aisi (l’agenzia informazioni sicurezza interna) “per ricostruire tutte le autorizzazioni che vennero date a Contrada per collaborare all’indagine”.
Paolo Cesareo
in Il sabato del villaggio
Via D’Amelio e quella “mano non mafiosa”
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