Verdone presenta l’ultimo film

La battuta più amata dagli ipocondriaci (e in particolare da chi soffre d’ansia) è quella in cui lui e Margherita Buy – in «Maledetto il giorno che ti ho incontrato» – rovesciano un grande sacco di plastica pieno di medicinali sul letto, come in un sabba domestico di bulimia farmacologica, ad uno ad uno ne pronunciano i nomi, le qualità, di qualcuno perfino l’esatta posologia, fino a che fa la sua comparsa lo Xanax e lui, come avesse trovato il Graal, fa: «Sì, lo Xanax, una mano santa!». Lui è Carlo Verdone di cui è ben nota la fobia delle malattie. Adesso, in un’avanzata e più placida maturità, lui gioca in difesa e dice che in verità non è così, che in Italia basta che uno si interessi di qualcosa e subito diventa un fissato. Però è sempre informatissimo su quasi tutti i congressi medici internazionali, ne legge le relazioni, ne segue le risultanze scientifiche.

Xanax o meno appresso, Verdone è stato ieri a Palermo. Prima in conferenza stampa, alle 14.45, all’hotel Politeama. Alle 21, invece, al Cine City King per l’anteprima del suo nuovo film, «Si vive una volta sola», sua ventisettesima fatica dietro e davanti la macchina da presa, che uscirà nelle sale di tutta Italia mercoledì 26. Lo accompagneranno due degli attori del cast, Rocco Papaleo ed Anna Foglietta (c’è anche Max Tortora a formare il quartetto dei personaggi principali). Adesso Verdone non potrà dire che glielo si fa apposta con la storia delle “fissazioni” ma chi sono i protagonisti del film? Guarda caso degli specialisti della medicina (chirurgo, anestesista, assistente dell’anestesista, strumentista), un blasonato ed affiatato team di sala operatoria, un po’ scalcinato quando dalla professione passa alla vita privata. E quale sarà il tema che darà la svolta al film? La malattia di uno di loro (e stop con lo spoileraggio).

Un’altra occasione per indagare su vizi (molti) e virtù (poche) dell’italiano di oggi come ha già fatto con quelli che hanno popolato i suoi film da quarant’anni esatti. Già, perché proprio quest’anno Verdone festeggia i quattro decenni di carriera cinematografica che partono da «Un sacco bello» che non fu soltanto la sua prima regia ma anche la sua prima prova d’attore sul grande schermo. Una prova multipla dal momento che in quella pellicola d’esordio – che è rimasta un cult della commedia italiana – interpretò più ruoli: Enzo, cinico e sbruffone, in cerca di un compare per una trasferta erotica nei Paesi dell’Est, l’hippy Ruggero in fuga dalla famiglia borghese e Leo, il ragazzone ingenuo e un po’ tonto innamorato per caso di una bella turista spagnola (più altri personaggi di contorno). Tutti e tre romani calati nella Roma deserta di Ferragosto. Film rimasto nella memoria, per situazioni e battute, per nuovo linguaggio, per personaggi in bilico tra reale e surreale. Figure che Verdone trasferì direttamente dai suoi spettacoli di cabaret che erano poi approdati alla tv in «No stop», il varietà di Enzo Trapani che lanciò anche la Smorfia di Troisi-Arena-De Caro, i Giancattivi di Nuti-Benvenuti-Cenci, i Gatti di Vicolo Miracoli di Smaila-Oppini-Calà-Salerno, Enrico Beruschi, Marco Messeri e tanti altri in una Rai che faceva ancora opera di scouting.

Se non ci fosse stato Sergio Leone, però, forse non avremmo avuto «Un sacco bello» e nemmeno Verdone il cui mentore fu per l’appunto il regista di «Per un pugno di dollari». Innamorato di quel giovane artista e dei suoi personaggi, Leone trovò i soldi (pochi), gli sceneggiatori, gli attori, il cast tecnico e fu lui a convincere Verdone, in assenza di più titolate firme per motivi di budget, a dirigersi da solo, pur standogli costantemente a fianco. Facendogli da co-regista, se così si può dire. Era ancora un’Italia di «tipi», di «figure», di «caratteri», quella di 40 anni fa, che via via si sono omologati, ai quali i nuovi costumi e forse anche i social hanno mutato i connotati. Per questo, spiega Verdone, non sarebbe più possibile oggi fare «Un sacco bello» ma è più plausibile raccontare storie, intrecci trasversali di vite. Come quelli di «Si vive una sola volta», anche se «Un sacco bello» resta nella piccola mitologia italiana. E pure nel cuore.

Totò Rizzo :

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