“E’ la mia stagione processuale…”, dice scherzando ma non troppo Valeria Contadino. E infatti ha finito a giugno le repliche de “La brocca rotta” di Kleist al Mercadante di Napoli (per lo Stabile di quella città) diretta dal marito Giuseppe Dipasquale, da domani è in tournée nei siti archeologici e storici siciliani per la stagione dei «Teatri di pietra» con “Clitennestra, il processo” di Alma Daddario con la regia di Sebastiano Tringali e a settembre comincia le prove di “Processo a Gesù” di Diego Fabbri, in un nuovo allestimento di Geppy Gleijeses, protagonista Paolo Bonacelli, che debutterà però in aprile, al Quirino di Roma. In mezzo tanta altra roba, ma tanta.
Instancabile, quest’attrice catanese per caso, per amore e per passione. Esordio involontario come nelle migliori famiglie (casualmente teatrali), una partenza da antologia: accompagna un’amica ad un provino per un ruolo ne “Il birraio di Preston” di Camilleri e prendono lei, figlia di una Catania borghese (di commercio) che al teatro manco ci pensa. Il regista (il succitato Dipasquale) se lo sposa pure, fanno cinque figli (una femmina e due coppie di gemelli maschi) e, tra un allattamento e un debutto, e diverse rinunce ovviamente, questi figli comunque li tira su.
Contenta adesso per questa Clitennestra, la Contadino. «Un testo, quello della Daddario, che fa piazza pulita del marchio di criminale con cui è sempre stato identificato il personaggio. Da immensi poeti tragici ma tutti maschi. E invece Clitennestra non è né una donna facile, né una feroce vendicatrice. Certo, non è Penelope che aspetta paziente il suo Ulisse perché lei sta con Egisto quando Agamennone parte per la guerra. E quando il marito torna lo accoppa. Ma Clitennestra ha anche dovuto soccombere al volere paterno, sposare Agamennone e sottostargli con la violenza, ha dovuto subire l’umiliazione del coniuge che è tornato portandosi dietro la schiava Cassandra facendone una regina e alla fine comunque Clitennestra pagherà con la vita, uccisa da suo figlio Oreste. Insomma, smontiamo un po’ di pregiudizi che, da Clitennestra in poi, si riflettono a tutt’oggi sulle donne, anche su quelle che sembrano carnefici ma sono state prima vittime».
La felicità sta anche nel dare voce e corpo al mito in luoghi in cui «respiri il mito e respiri la storia. E’ accaduto per le prime recite al teatro romano di Volterra e in quello di Sutri, a maggior ragione da domani sera accadrà nella mia isola, dal Tempio di Hera a Selinunte o domani nell’area archeologica di Eraclea Minoa o nei luoghi che raccontano secoli, dalla Chiesa di Santa Maria del Gesù a Modica o sul sagrato di quella di Sant’Antonio a Buscemi dove saremo giovedì e venerdì». Insieme alla Contadino, in scena cinque danzatori sulle coreografie di Aurelio Gatti.
Dopo? «Un paio di settimane al mare, l’ho promesso a me stessa. Perché a settembre cominciano le prove di “Processo a Gesù” che però debutterà a Roma ad aprile, a Pasqua, in coda di stagione, e infatti faremo solo il Quirino e la Pergola a Firenze. Poi il Musco, diventato a Catania, il “teatro di famiglia” gestito da Valeria e da Giuseppe Dipasquale. «Nella mia città, ho tre spettacoli: uno spin off da Camilleri, “Troppu trafficu pi carruba” da “Troppu trafficu pi nenti”, “Casa di bambola” di Ibsen dove torno a recitare diretta da Tringali, “La donna a tre punte”, un monologo stavolta, ancora da Camilleri con la regia di Dipasquale. Poi a fine novembre sono alla Sala Strehler del Biondo, a Palermo, con David Coco per “La creatura del desiderio” in cui Camilleri racconta la passione travolgente tra Oskar Kokoschka e Alma Mahler».
Altro? «Credo che basti. Se si pensa che del Musco sono anche presidente… E mi piace averne fatto un centro di aggregazione culturale e sociale, non solo un posto dove poter fruire di spettacoli: dal teatro per i ragazzi ai corsi di giapponese, un luogo dove alla fine di una rappresentazione, o poco prima, puoi sederti a prendere una birra e chiacchierare con gli artisti».