In vista della spartizione dei 160 milioni messi a disposizione dei settanta deputati dell’Ars dal governicchio di Renato Schifani, ieri si è riunita a Palazzo dei Normanni la conferenza dei capigruppo alla quale, come si sa, spetta stabilire i tempi e i modi del dibattito parlamentare. E lì è venuta fuori una proposta, a dir poco bizzarra, del presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno. Il quale, facendosi portavoce di Schifani, ha chiesto ai capigruppo di soprassedere e di aspettare che Marco Falcone, appena eletto deputato europeo, lasci l’assessorato al Bilancio. “Damnatio memoriae”, avrebbe scritto Tacito. Schifani che, dal momento del suo insediamento, non ha mai sopportato Falcone, molto amico a differenza sua del segretario Antonio Tajani, e adesso non vede l’ora di prendersi per intero il Bilancio. Già gli aveva scippato le competenze sul grasso feudo dei fondi europei e le aveva consegnate a quell’opaco avvocato d’affari che risponde al nome di Gaetano Armao. Ma ora medita il colpo grosso: consegnare tutte le leve del potere a un tecnico di sua stretta e totale fiducia: può essere Armao ma potrebbe anche essere Salvatore Sammartano, l’attuale suo capo di gabinetto. L’importante è accentrare, accentrare, accentrare tutto nelle sue mani o nelle mani del suo cerchio magico.
Diciamolo: Schifani, con la banalissima scusa di consegnare i poteri ai cosiddetti “tecnici”, di fatto sta usurpando la democrazia e sta anche svuotando la dialettica tra i partiti della maggioranza. Paradossalmente, con la partenza di Falcone, Forza Italia non avrà più un assessorato. Edy Tamajo, titolare delle Attività produttive, è un uomo dell’ex ministro Salvatore Cardinale e con la storia dei berluscones ha poco o nulla a che vedere. Giovanna Volo, meglio conosciuta come “il fantasma della Sanità”, è un tecnico inutile e insignificante che consente a Schifani di amministrare direttamente le nomine di Asp e ospedali. Non solo. Il valzer dei tentacoli non si ferma qui. Con il cosiddetto rimpastino, finirà a un altro vassallo di Schifani anche il ricchissimo assessorato dell’Agricoltura: Luca Sammartino, il titolare, non può metterci più piedi in conseguenza di un divieto firmato dai magistrati che lo indagano a Catania per due presunti casi di corruzione.
Insomma, è uno Schifani pigliatutto il reuccio che vive e regna a Palazzo d’Orleans. Non dimentichiamo che, oltre ad avere sventrato il Bilancio, il presidente della Regione ha anche svuotato l’assessorato all’Ambiente, quello di Elena Pagana, cedendo al solito Armao la presidenza del Cts, il potente comitato che autorizza l’insediamento di ogni nuova impresa in Sicilia; e, con la nomina a commissario per i termovalorizzatori, ha accentrato su di sé anche una fetta consistente delle competenze inizialmente assegnate a Roberto Di Mauro, assessore all’Energia, ed esponente non secondario dell’Mpa, il movimento autonomista di Raffaele Lombardo.
L’ingordigia di accentrare tutto su Palazzo d’Orleans ha spinto ieri Schifani a servirsi di Galvagno per rinviare la discussione sulle variazioni di bilancio (termine tecnico che nasconde la ripartizione in mance dei 160 milioni) a quando non ci sarà più Falcone. Perché Falcone, essendo una persona per bene e molto rispettosa della politica, si sarebbe certamente battuto per una porcata in meno. Il galateo istituzionale – sconosciuto soprattutto a Galvagno – avrebbe voluto che il presidente dell’Assemblea invitasse l’assessore a restare fino all’approvazione del disegno di legge. Fino, cioè, al completamento di un passaggio parlamentare iniziato da lui. Invece i due presidenti hanno grossolanamente invertito la norma del galateo e invitato i capigruppo a rinviare tutto “a quando non ci sarà più l’assessore”. E’ vero: al peggio non c’è fine.