“Ma è per una buona causa”, rispondeva l’altro ieri l’operaio dell’Anas agli automobilisti inferociti per la chiusura dell’autostrada Palermo-Catania. Una chiusura lunga otto ore per consentire a Ricky Tognazzi e Simona Izzo di girare la scena centrale di un film su Francesca Morvillo, la sfortuna e amatissima moglie del giudice Giovanni Falcone, morta con lui trentadue anni fa nella strage di Capaci. Siccome si tratta di “una buona causa”, allora non protestiamo? Oppure passiamo sopra, senza muovere nemmeno un’obiezione, all’impazzimento che la chiusura ha provocato non solo agli automobilisti ma anche alla città di Termini Imerese, intasata e ammorbata dal traffico che è stato dirottato sulle sue strade levantine, strette e tortuose?
Di film girati con lo spirito della “buona causa”, cioè in nome dell’antimafia, ne abbiamo visti tanti, troppi. Due o tre sono stati indubbiamente all’altezza che l’arte cinematografica impone: quasi dei capolavori. Altri sono stati dignitosi e anche convincenti, altri scadenti, altri imbottiti di una pomposa e stucchevole retorica, qualche altro scritto con una tracotante e sciatta abbondanza di luoghi comuni, altri ancora rabberciati da produttori – magliari o truffaldi, scegliete voi – al solo scopo di sgraffignare i contributi dello Stato o della Regione. Ricky Tognazzi e Simona Izzo, per fortuna, sono fatti di ben altra pasta; sono due registi seri, stimati, competenti, professionalmente ineccepibili. Quello su Francesca Morvillo sarà certamente un film di alto livello, bellissimo e commovente. Ma prima di alzare la bandiera della “buona causa” aspettiamo comunque di vederlo.
La “buona causa” – che poi è stata ed è tuttora la gagliarda bandiera di quel vasto mondo che è la lotta alla mafia – purtroppo può anche diventare un’arma a doppio taglio. Che gli avventurieri di ogni genere e qualità utilizzano spesso e volentieri come passepartout per spacciare la paccottiglia come opera d’arte. Il cinema offre, purtroppo, decine di esempi. Ma anche il teatro. E pure l’editoria: quanti libri – anche sgrammaticati, anche inzuppati di fanatismo, di bestialità grandi come una casa o delle teorie più folli e spericolate – hanno proditoriamente raggiunto le nostre case e i nostri scaffali? E quanti di questi libracci invadono di anno in anno il mercato, girano per festival e sagre paesane, vengono letti addirittura nelle scuole, alimentano dibattiti e convegni, procurano cittadinanze ordinarie e appuntano medaglie sul petto dei loro autori che poi, manco a dirlo, sono quasi sempre i venerati santoni dell’antimafia? Dell’antimafia della fuffa, va da sé.
La “buona causa”, insomma, non sempre aiuta la lotta ai boss, ai picciotti e alle cosche di Cosa Nostra: quella lotta sincera, spontanea, vissuta giorno dopo giorno con coerenza, con impegno civile e senza la balorda tentazione di intessere carriere o speculazioni sul sangue degli altri. Paradossalmente finisce invece per aiutare certi cacicchi politici tra i più avventati e privi di ogni scrupolo: i ladri, i corrotti, gli spregiudicati, i ricattatori, i tangentisti. I quali, appena si accorgono che la loro immagine ha bisogno di una rinfrescata o di una riverniciatura, colgono al balzo l’occasione di un anniversario doloroso – una strage o l’assassinio di un eroe – e, senza badare a spese, s’inventano un chiassoso convegno antimafia che consente loro di pirotelleggiare sul palcoscenico della cerimonia, di trovare spazio sui giornali, di guadagnare credito verso le anime belle, di abbagliare persino i familiari delle vittime e di ottenere, di fatto, un perdono generalizzato per i loro fatti e misfatti.
E’ la politica, bellezza! La più inquinata, impunita, falsa e miserabile politica siciliana.