Sull’asse Washington-Mosca corrono un tempismo e un’unione di intenti con pochi precedenti. Persino la notte degli Oscar è tornata tra le notizie dei telegiornali russi dopo tre anni di omissioni, perché secondo alcuni la nomina di Yura Borisov a miglior attore non protagonista è il sinonimo di un “Occidente che vuole fare pace con la Russia”. La consonanza viene però evidenziata da altro: le comunicazioni arrivano quasi in concomitanza; i contenuti, così come i toni, sono sovrapponibili. C’è un fronte comune: una stretta a tenaglia su Volodymyr Zelensky, da attuare con le armi di pressione a disposizione, per costringerlo ad apporre la sua firma su un documento di pace tutt’altro che chiaro, su cui solo Stati Uniti e Russia sembrano concordare. La prova sta nell’ultima dichirazione di Donald Trump contro il presidente ucraino, netta ed esplicita come al solito: “L’America non lo sopporterà ancora a lungo. Finché ha il nostro sostegno, questo tizio non vorrà la pace”. Continua su Huffington Post
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