Uragano Schifani su Lagalla

Mentre in Sicilia volavano parole grosse, Schifani e Lagalla erano insieme ad Assisi per le celebrazioni di San Francesco

Siccome Faraone ha parlato male di Schifani a Roma, Forza Italia minaccia l’uscita dalla giunta di Palermo. Sembra un capriccetto dell’asilo, in realtà è la nuova obiezione mossa dal partito del governatore a Roberto Lagalla. Peraltro nelle stesse ore in cui il sindaco -accigliato- compare al fianco di Schifani in una foto diramata dall’ufficio stampa di Palazzo d’Orleans per la Festa di San Francesco in corso ad Assisi, che quest’anno vede protagonista la Sicilia. A presentare l’ultimatum al primo cittadino di Palermo, di fatto, è l’ex segretario provinciale di Italia Viva, che lo scorso anno Schifani trasformò nel suo ventriloquo, affidandogli fra le altre cose – con la partecipazione di un Berlusconi debilitato, che acconsentì alla nomina – il ruolo di coordinatore regionale di Forza Italia.

Se il racconto vi ha confuso, partiamo dall’ultimo episodio. Quello che si è verificato ieri a Montecitorio. Faraone interviene durante la discussione sul Decreto Omnibus, che al suo interno contempla i “poteri speciali” a Schifani – sul modello Gualtieri – per la realizzazione di due termovalorizzatori nell’Isola. Piccolo inciso: Schifani, che prima avrebbe dovuto occuparsi di inceneritori limitatamente alla prima fase, con l’adozione del piano dei rifiuti, ora potrà occuparsene fino all’appalto, in deroga al codice dei contratti pubblici. Faraone, in realtà, ha evidenziato ciò che molti pensano: “Nominare un commissario per realizzare gli impianti per il trattamento dei rifiuti in Sicilia è cosa buona e giusta – è stata la premessa del capogruppo renziano -. Nominare commissario il Presidente della Regione siciliana Schifani, colui che invece doveva essere commissariato per incapacità manifesta, è quanto di più deleterio il governo nazionale potesse fare”.

Le parole dell’esponente di Italia Viva sono piombate su un sonnecchiante venerdì d’inizio ottobre, irritando i deputati di Forza Italia. Nulla di trascendentale se non fosse per la replica piccata di Caruso. Il maggiordomo di Palazzo d’Orleans, che in sede di rimpastino ha trasformato Forza Italia in carne da porco (Schifani ha nominato solo “tecnici” con 12 deputati azzurri in attesa della grazia), ha reagito dirottando l’attenzione su altri aspetti che non hanno nulla a che vedere con la monnezza: “Trovo del tutto incomprensibile e fuori luogo l’attacco scomposto di Davide Faraone al presidente Schifani (…) C’è però anche un problema di natura politica – ha detto Caruso – che non può essere più ignorato: Italia Viva attraverso la presenza di consiglieri comunali “civici”, ma riconducibili al partito di Faraone, fa parte della maggioranza al Comune di Palermo. Alla luce delle ultime posizioni assunte a livello nazionale, con la ricerca di nuovi strapuntini, e dei continui attacchi al governo regionale, appare non più rinviabile una valutazione sulla permanenza di questo gruppo nella giunta comunale. Invitiamo, pertanto, il sindaco Lagalla e le altre forze della coalizione di centrodestra ad avviare subito un chiarimento circa la presenza del partito di Faraone”. Ma non è finita, perché “in assenza di ciò – prosegue la nota – sarà Forza Italia, che ricordiamo essere il partito più votato alle ultime elezioni comunali, a porre la questione e ad assumere le proprie determinazioni in merito”.

Un finale che somiglia a un avvertimento. Come la volta in cui gli azzurri “imposero” a Lagalla di fare il primo rimpasto del suo mandato (serviva “un riequilibrio della rappresentanza del partito nella Giunta”), cacciando gli ex amici di Micciché per ottenere la nomina del prode Alongi. Siamo sullo stesso livello, se non oltre. Anche perché il rapporto tra Schifani e il sindaco di Palermo appare logoro da tempo: intanto perché Lagalla aveva prestato il Massimo e il Politeama per la celebrazione del compleanno di un magnate giapponese senza avvertire il governatore; poi per aver partecipato a un incontro con Tajani, prima delle Europee, ispirando nel competitor forzista un fortissimo sentimento di gelosia; e infine per aver osato proporre – senza consultare il Re, che avrebbe preferito Peria – la conferma di Marco Betta al Teatro Massimo di Palermo in qualità di sovrintendente. La tensione si era rarefatta con l’individuazione di un ticket (Betta-Venezi) e grazie all’intromissione del ministro Giuli, sgradita a entrambi. Ma adesso siamo punto e a capo.

L’episodio Faraone ha fatto esplodere i rancori di Schifani, che con Lagalla stava condividendo il viaggio ad Assisi. A voler essere pragmatici, verrebbe da chiedersi: cosa c’entra il giudizio sui “poteri speciali” per la chiusura del ciclo dei rifiuti con la minaccia di una “crisi” a Palermo? Perché minare il percorso di un sindaco sulla scorta di una considerazione fatta alla Camera dei Deputati durante un dibattito? La cosa peggiore è che Caruso rappresenta da sempre il megafono di Schifani: dice ciò che il presidente pensa. E a questo punto – l’unica conclusione su cui Caruso ha ragione – la questione diventa davvero politica: non tanto sul futuro della giunta di Palazzo delle Aquile, ma sulla convivenza impossibile tra Schifani e Lagalla nella Forza Italia che verrà. Il sindaco si è sempre sganciato da logiche di militanza a tutti i costi, ma la sua compostezza piace a Tajani e ad alcuni azzurri “ribelli”, che avevano ipotizzato di costruire un percorso insieme. Oggi Schifani ha confermato che non è possibile e che non sono ammessi disturbatori, almeno finché sul trono rimarrà lui. Il partito “inclusivo” ha subito un’altra battuta d’arresto. Il movente è Faraone, che con Forza Italia non c’azzecca.

Alberto Paternò :

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