Una voce fuori dal coro. Il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, è l’unico che ha avuto pubblicamente (ma garbatamente) il coraggio di esporsi su un tema battuto da molti: ma il governo, che fa? L’azione di Schifani e della sua squadra, passata più volte al setaccio, esprime un verdetto unanime: nulla. Il concetto è stato illustrato ieri mattina, nel corso di una conferenza stampa dai connotati politici molto forti, e ribadita in aula, nel pomeriggio, quando Galvagno s’è detto “imbarazzato” per l’assenza del governo e dei deputati di maggioranza, ed è stato costretto a sospendere la seduta per la mancanza del numero legale. “Chiamerò Schifani e i capigruppo”, perché così è impossibile andare avanti.
Il governo non fa nulla sotto il profilo delle riforme, tanto che da inizio mandato sono state approvate soltanto sei leggi, tra cui Bilancio e Finanziaria; non fa nulla per arginare gli scandali del Turismo (la staffetta fra Scarpinato e Amata è una pezza peggiore del buco); non fa nulla per rimuovere le pessime figure (ieri l’ultima scena muta) dell’assessore Giovanna Volo sul fronte della sanità; non fa nulla per prevenire la prossima emergenza rifiuti (scommettiamo che in estate…). Si occupa soltanto di vicende che poco hanno a che fare col pane quotidiano dell’amministrazione: il caro voli, il commissariamento di Anas sulla Palermo-Catania, il Ponte sullo Stretto, l’autonomia differenziata. Ma anche della distribuzione di incarichi: dopo Armao, è toccato a Simona Vicari, ex sindaco di Cefalù, che percepirà un compenso da 60 mila euro per occuparsi di trasporti ed energia. Nel menu non possono mancare, infine, le inaugurazioni: come per il pontile di Mondello, dove sono accorsi il governatore, un paio di assessori e il sindaco di Palermo per il taglio del nastro.
Alle foto di gruppo sono tutti presenti e sorridenti, un’ora dopo si dissolvono magicamente. Dietro una promessa. Quella di ridiscutere con Giorgetti i termini dell’Accordo Stato-Regione, per garantire più margini di manovra sul tabù delle assunzioni; o con Fitto sullo “scongelamento” dei Fondi di sviluppo e coesione, un atto propedeutico a sbloccare la Legge di Stabilità. L’avevano approvata in fretta e furia a inizio febbraio, per evitare che si prolungasse l’esercizio provvisorio e invertire la rotta rispetto al disastroso Armao. Ma sono stati talmente superficiali da farsi impugnare norme per 800 milioni, che rimangono in stand-by.
Forse avrebbe voluto dire questo e molto altro Gaetano Galvagno, che però è uomo delle istituzioni (anche se giovanissimo). Pertanto c’è andato piano. “L’Aula può rimanere aperta anche h24 ma ci vuole carne al fuoco da mettere – ha detto il presidente del parlamento siciliano -. I rapporti col governo Schifani sono ottimi, aspettiamo che ci dia le priorità che intende portare avanti. Auspichiamo che in tempi celeri ci trasmetta quello che ritiene opportuno portare in aula”. Ma dietro i toni sobri, per la prima volta, si manifesta una certa urgenza. Dall’avvio di questa legislatura, a Sala d’Ercole, non è arrivato un disegno di legge degno di nota. Infatti nessuna proposta, al di fuori della sessione finanziaria, è stata discussa. Si è fatto un gran parlare (sui giornali) della riforma per la reintroduzione delle province, che però rimarrà a bagnomaria finché non verrà abrogata la Delrio. E quindi? Non si ha idea di cosa il governo voglia fare. Tabula rasa. E’ ovvio che il parlamento, in queste condizioni, non abbia spazio né occasione per legiferare. Con le Amministrative e la campagna elettorale di mezzo, il quadro peggiora.
L’imbarazzo è evidente anche sul fronte delle impugnative. Un piccolo dato: nei primi sei mesi di legislatura sono stati impugnati 66 articoli su 143 approvati, pari al 46,15%, a fronte dei 17 impugnati (rispetto ai 132 approvati) cinque anni fa. In pratica, il governo meno fa e più sbaglia. La dimostrazione plastica è giunta con la Finanziaria, che ha segnato un punto di rottura fra il presidente Schifani e l’assessore all’Economia, Marco Falcone, che lui stesso aveva scelto. In primo luogo per aver concordato con l’opposizione le linee guida. Poi per aver ceduto all’ingordigia dei deputati, collezionando tutta una serie di marchette – ma c’erano pure i finanziamenti ai Comuni, gli aumenti ai Forestali, i soldi per il Cas – a valere sui Fondi di sviluppo e coesione, che di fatti non erano nella disponibilità di Palazzo d’Orleans.
Il governo “amico”, a Roma, ha scelto così di stoppare questo modus operandi che anche Armao aveva utilizzato più volte nel precedente quinquennio. “La copertura era incerta rispetto a un accordo o a una programmazione, era una operazione rischiosa – ha detto pacatamente Galvagno -. Stiamo prendendo l’impegno per evitare in futuro incidenti di questo genere”. Anche Schifani, dopo aver appreso della bocciatura di Roma, si era risentito (“Non succederà più”), facendo ricadere la colpa di tutto su Marco Falcone. Che oggi fatica a divincolarsi da una tenaglia letale e dovrà resistere al ritorno di Gaetano Armao, il grande ex nominato ‘esperto’ in materia di fondi extraregionali.
A mettere in prosa le critiche velate di Galvagno che tradiscono – ci torneremo – il malumore complessivo di Fratelli d’Italia, è stato Antonio De Luca, capogruppo del Movimento 5 Stelle: “L’unico vero dato che il presidente dell’Ars doveva comunicare non poteva comunicarlo senza il rischio di provocare una crisi di governo: se l’Ars è quasi catatonica e marcia con il freno a mano tirato la colpa principale è dell’esecutivo Schifani che in sei mesi di legislatura non ha praticamente cavato un ragno dal buco”. Ma il governatore non ha il tempo per occuparsi di tutto. E’ in campagna elettorale per le Amministrative, sta cercando di accrescere il suo peso nel quadro dirigenziale nazionale di Forza Italia (con l’adesione di Cancelleri è già a buon punto), sta ragionando sul “tagliando” da fare al governo, che potrebbe portare a un rimpasto prima dell’estate (o addirittura prima). E poi ha mille nemici da fronteggiare: i capi di Ita e Ryanair, i burocrati fannulloni, la ditta di Favara che non completa i lavori del Castello Utveggio. E’ una vitaccia.
Ma Fratelli d’Italia, il partito che l’ha messo lì per governare al posto di Musumeci, è stanco di tanta melassa. Vorrebbe raccogliere il frutto dei primi sette mesi di governo e presentare il resoconto a Giorgia Meloni, e invece si ritrova a dover fare buon viso a cattivo gioco. La conferenza stampa convocata da Galvagno dopo mesi di nulla è, di per sé, un atto di coraggio. La kermesse organizzata da Forza Italia al Politeama di Palermo, invece, s’è tradotta in una farsa. Nella vetrina di Cancelleri, che comunicava l’adesione a “una famiglia di valori” su cui aveva sputacchiato fino al giorno prima. Le dichiarazioni d’intenti non pagano più. Lo scambio d’amorosi sensi con gli altri partiti della coalizione è finito da un pezzo. La panna acida di questo esecutivo s’è smontata in maniera inesorabile. Non sarà il pontile di Mondello a garantirgli un futuro roseo.