Autonomi e partite Iva pendono dalle labbra dell’Inps per ottenere il “bonus” da seicento euro promesso da Conte; i 137 mila cassintegrati in deroga pregano la Regione perché faccia partire le pratiche “congelate” da settimane nei computer dei Centri per l’impiego; i Comuni, dopo aver firmato il patto d’adesione, non hanno visto un euro dei cento milioni promessi da Musumeci. E le imprese? Manco a parlarne. Sono in fila nelle banche – dove ti fanno entrare solo per appuntamento – nel tentativo di accedere a prestiti che, nella migliore delle ipotesi, dovranno restituire dal 2022. La sospensione o riduzione delle attività provocate dal Coronavirus era solo l’anticamera dell’inferno a cui, in questi giorni, si sono affacciati famiglie e lavoratori, feriti nell’animo e svuotati nel portafogli. Al di là della patina degli annunci, non c’è una sola cosa che funzioni a dovere.

Qualche giorno fa, con una dovizia di particolari da far rizzare i capelli, il collega Dario Di Vico, sul Corriere della Sera, ha raccontato le vicissitudini di una Srl (nome di fantasia: Piemmeì) che intende accedere a un finanziamento da 15 mila euro – lo Stato ne concede fino a 25 mila – e si rivolge alla propria banca. Giusto per gradire, ai titolari delle Piemmeì vengono richiesti dodici adempimenti e sette documentazioni aggiuntive. Un muro della burocrazia a 19 piani impossibile da scalare. Tra le richieste rientrano: la copia degli ultimi due bilanci compresi di nota integrativa, il verbale di approvazione, la ricevuta di deposito e dettaglio delle voci “crediti” e “debiti”, il bilancio provvisorio al 31 dicembre 2019 sotto forma di stato patrimoniale e conto economico, e ancora il Durf, il Durc e il DM10. Vi risparmiamo per decenza i restanti. Una confusione invereconda. Che da un lato alimenta le speranze e dall’altro restituisce la vera piaga del sistema: una burocrazia farraginosa e mal governata da chi dovrebbe, piuttosto, essere in grado di farla funzionare.

Il capogruppo all’Ars di Forza Italia, Tommaso Calderone, ha riassunto così la vicenda: “Le banche non richiedono una semplice autocertificazione per il rilascio del prestito, bensì intraprendono una vera e propria istruttoria con evidenti dilatazioni temporali in termini di esito dell’istanza. Così l’accesso ai finanziamenti diventa un miraggio. L’unica certezze è il tasso d’interesse per la restituzione delle somme: di fatto il rimborso dovrà avvenire entro 6 anni con un tasso che si avvicinerebbe al 2%, ovvero il massimo applicabile dalle banche per operazioni di finanziamento. Una presa in giro”. Il Fondo statale può garantire finanziamenti per un importo massimo non superiore al 25% dei fatturati dell’impresa, secondo quanto indicato nel modulo di domanda di garanzia, e comunque fino a 25 mila euro. “Sapete quante partite IVA in Italia, fatturano almeno i 100 mila euro necessari per ottenere i 25 mila euro di finanziamento? Secondo il Ministero dell’Economia – continua Calderone – il 70% delle partite IVA ha un fatturato inferiore ai 100 mila euro e quindi non percepiranno il finanziamento massimo

Ma c’è anche un altro elemento, oltre alla burocrazia, che scalfisce la sofferenza e la riduce in brandelli di rassegnazione. E’ la politica degli annunci, del facile aiutino, dei fantadecreti miliardari – presentati, rinviati, poi approvati – che godono di declinazioni all’altezza in tutte le realtà territoriali. Restiamo in banca, ma veniamo alla Sicilia. Dal 10 aprile, giorno in cui la giunta regionale approvò la prima bozza della Finanziaria e decise di trasmetterla all’Ars, le misure di sostegno a famiglie e imprese sono cambiate mille volte. Il tentativo di garantire liquidità a chi oggi ha più paura di riaprire che di restare chiuso (espressione utilizzata da Viviana Manfrè, proprietaria di un’agenzia viaggi) si è tradotto in “prestito”. Ma chi concede i prestiti? Non la Regione – che interpreta il ruolo di “garante” – bensì le banche, che diventano protagoniste consapevoli, loro malgrado, di una fase storica che rischia di mandarci in malora (basta un numero: il crollo del 12% del prodotto interno lordo).

Allora accade che con un rullo di tamburi l’assessore all’Economia Gaetano Armao, puntando tutto sul Fondo Sicilia dell’Irfis (la “banca” della Regione), decida di chiudere una serie di convenzioni con banche minori, tra cui la Popolare di Ragusa, Igea Banca e Sant’Angelo, e due confidi (Confeserfidi e Fidimed), per garantire 100 mila euro di liquidità alle imprese, in cambio di un contributo regionale a fondo perduto del 5% e comunque fino a 5 mila euro, innalzabile fino all’8% per i finanziamenti con pre-ammortamento pari almeno a 12 mesi. Si tratta di prestiti chirografari, ossia di tipo fiduciario, il cui rimborso è garantito dalla capacità reddituale e dal patrimonio del richiedente. La Regione si limita a “sponsorizzare” l’iniziativa, che però non esula dalla responsabilità delle imprese: prima costrette a riempire decine di moduli per avviare l’istruttoria, e poi tenute a tornare in banca – negli anni a venire – per “cancellare” il debito.

Al di là delle procedure che variano da istituto a istituto (molti hanno caricato i moduli online), è la sostanza dei provvedimenti a far trapelare qualche imbarazzo. E anche il fatto che le banche maggiori, nonostante sull’intera operazione ci sia il sigillo dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, abbiano deciso di rimanere alla larga dalla proposta di Regione e Irfis. Gli imprenditori, che nel frattempo non hanno ancora visto un euro, hanno però l’imbarazzo della scelta: oltre al prestito chirografario, ci sono le altre iniziative messe in campo da palazzo d’Orleans con l’ultima manovra economica, che ieri ha varcato le porte del parlamento siciliano e ne dovrebbe uscire tra un paio di giorni.

Andiamo a illustrarle nel dettaglio, dalla prima all’ultima. Con la bozza approvata il 10 aprile dall’esecutivo, la Regione aveva istituito un fondo da 170 milioni allo scopo di finanziare e sovvenzionare, sempre attraverso l’Irfis, il credito d’esercizio delle imprese. La misura prevedeva l’erogazione di prestiti, in parte a fondo perduto, fino a 15 mila euro (senza interessi). Poi ha istituito un “Fondo per la ripresa artigiani” da 100 milioni presso la Crias, la cassa regionale per il credito alle imprese. Anche in questo caso prestiti fino a 15 mila a interessi zero. E non si era tirata indietro nemmeno nei confronti delle cooperative, accantonando 50 milioni presso l’Ircac, l’istituto per il credito alla cooperazione, per garantire prestiti fino a 50 mila euro. Ma dove sono questi soldi? Si vedrà. E quando arriveranno? Si vedrà anche questo.

Un sacco di promesse sono state sparse a macchia d’olio sulle famiglie. L’ultima un paio di giorni fa, durante i lavori convulsi della commissione Bilancio. Musumeci e Armao in persona avevano fatto irruzione per scrivere un nuovo emendamento che, in caso di approvazione di Sala d’Ercole, dovrebbe garantire l’abbattimento degli interessi per la concessione di prestiti a consumo (fino a 15 mila euro) a tutte le famiglie con un reddito annuale inferiore a 40 mila euro. Sembra uno scioglilingua. Ma è la realtà. Applaudita, fra l’altro, da tutte le forze politiche dell’arco parlamentare (Lega e Pd in primis). Sarà, questa, un’integrazione rispetto a un’altra misura prevista inizialmente: l’ennesimo fondo da 100 milioni, istituito presso l’Irfis, per finanziare il consumo delle famiglie mediante l’erogazione di altri prestiti (fino a 5 mila euro) a interessi zero e a fondo perduto (in parte). Per il momento, però, è rimasto tutto sulla carta. Come, d’altronde, l’ultima trovata partorita in commissione: ossia l’ “una tantum” forfettaria da 500 euro per tutti gli studenti siciliani “iscritti agli atenei, conservatori ed accademie della Sicilia” che vivono in affitto. I fuorisede di casa nostra.

La Legge di Stabilità, fra l’altro, non è ancora al riparo da possibili fregature. Le risorse sono incerte, l’accordo di finanza pubblica con lo Stato manca, i fondi europei vanno riprogrammati correttamente, ma si fa comunque sfoggio di una quantità incredibile di risorse: dagli otto milioni per garantire le borse di studio agli studenti “idonei non assegnatari” agli otto per la specializzazione dei medici e le borse di studio ai dottorandi; dai 20 per ridurre la dispersione scolastica ai 25 per l’acquisto di dispositivi di protezione per scuole, università ed enti di formazione. Una valanga di soldi fantasma. Che suonano beffardi alla luce delle difficoltà economiche dell’ente e dei rifiuti di Roma di venirci incontro. E soprattutto di alcuni precedenti, assai equivoci, che vale la pena ricordare.

La storia dei 100 milioni ai Comuni per combattere la fame fa sempre scuola. Musumeci l’aveva annunciata con giubilo il 29 marzo, ma da allora alle famiglie non è giunto neppure un buono spesa. La Regione ha effettuato i mandati di pagamento per i primi 250 Comuni, ma le risorse non sono spendibili. Non subito. I sindaci, infatti, devono ancora predisporre i bandi, calare i soldi nei bilanci (che quasi nessuno ha approvato) e, trattandosi di fondi comunitari, capire le modalità di rendicontazione. Anche gli altri 70 milioni di fondi Poc, a cofinanziamento statale, andrebbero rimodulati. L’assessore agli enti locali, Bernadette Grasso, ha annunciato procedure snelle che fin qui si sono rivelate una pia illusione. Forse con questi buoni ci si potrà fare la spesa di Natale. O, in base alle ultime novità emerse in commissione Bilancio (per iniziativa del Pd), pagarci bollette e affitti.

Ma l’ultima, dannata vicenda in cui si intrecciano proclami e verità fattuale, riguarda la Cassa integrazione in deroga, ossia l’ammortizzatore sociale per le piccole e medie imprese che non godono di altre forme di sostegno e che la pandemia ha costretto a chiudere o rallentare. Qui i ritardi sono diventati molteplici e le responsabilità chiare: il dipartimento Lavoro della Regione, attraverso i centri per l’impiego (dove sono pervenute le domande di 36 mila aziende e quasi 137 mila lavoratori), avrebbe dovuto inviare i decreti delle pratiche all’Inps, a cui spetta la liquidazione delle somme entro le due settimane successive. Ma non l’ha fatto nei tempi previsti. Anzi, non l’ha proprio fatto. La Sicilia è la regione più lenta d’Italia e qualcosina, nonostante gli annunci dell’assessore Scavone, ha iniziato a muoversi da poco. Entro venerdì scorso sarebbero dovuti partire 1.400 decreti, ma a oggi sono appena 534. Sembra impossibile mantenere la media di 2.500 istruttorie al giorno, nonostante l’impegno di 140 persone. Altri impegni non mantenuti: in questa Regione mai niente è come appare.