Alle tre di notte parla Giorgia Meloni e Lia — la signorina Lia, mia zia – batte le mani. La vincitrice del 25 settembre dedica il risultato a chi non c’è più e Lia batte le mani nella stanza importante della propria casa con la raggiante felicità delle sue ottantacinque primavere.
Ognuno ha un mondo intero nei propri ricordi, pezzi di vita che sono solo batticuore ormai, la piccola bionda ostinata arriva al governo d’Italia, parla da Roma, e quella sua dedica – “a chi non c’è più” – fa commuovere Lia, mia zia, che di ogni lacrima se ne fa un film.
Ed è una pellicola che va a svolgersi alle ore tre del mattino, questa di Lia – la signorina, mia zia – con tutti quelli che non ci sono più: genitori, fratelli, cugini, amici di stagioni andate e poi le piazze.
Sono – ebbene sì, bagnate dal pianto gioioso di Lia – le tante piazze tricolori e festanti con la fiamma degli esuli in patria, degli esclusi a prescindere e della gioventù nazionale. Quella che – nel ricordo di ciò che non c’è più – tra baci, fiori e rose canta “…oh Italia, oh Italia del mio cuore/tu ci vieni a liberar”.
Piazze affollate di paesani che hanno consumato l’addio a questa terra consegnandosi alla storia e alle pareti di casa di zia Lia, a Leonforte. Tutta un’allegria di cornici, portaritratti e fotografie affastellate nella vetrinetta che racconta di certificati elettorali e di ragazzi diventati poi deputati, onorevoli, sindaci e perfino protagonisti al parlamento di Strasburgo.
È una storia che sa di famiglia quella della destra che fu, in Italia. La fiamma che Giorgia Meloni non ha tolto dal suo simbolo è la fiamma di Paolo Borsellino, la fiamma di Dino Ferrari che se la porta nel bavero della giacca, nel letto di morte, è la fiamma di Walter Chiari che ci fa le mattane in scena, beffandosi di tutte le cautele ed è – e zia Lia lo sa – la fiamma di Padre Pio.
Partivano i torpedoni per il lungo viaggio da Leonforte verso San Giovanni Rotondo, le pie donne si mettono in fila per la Santa Confessione per domandare al santo cappuccino – “Padre, ma è peccato votare per la Fiamma?” – e dalla penombra del confessionale Padre Pio tuona loro: “Peccato è non votarla!”. La risposta del santo è troppo mobilitante per mantenerla nel segreto della penitenza, ed è liberatoria per le poche – tra i pellegrini – decise a disobbedire l’ordine del parroco di votare la Democrazia cristiana.
Alle tre di notte, seguendo lo spoglio del responso elettorale, il film trova sipario nelle lacrime di felicità di Lia – la signorina, mia zia – e lei è l’unica di tutto un mondo ad avere visto il 25 settembre.
Il successo di Giorgia Meloni non è certo il ritorno del Novecento, la sua storia è un libro nuovo ma l’applauso nella stanza di Lia diventa corale, emozionante, pazzo dell’incontenibile riscatto di giovinezze ubriache di politica e di sogni fatti di soli tre colori: il bianco, il rosso e il verde.
Giusto quelli di “Rinaldo in Campo”, il capolavoro teatrale di Garinei & Giovannini, con le tre pitture dai picciotti in scena, con Dragonera e la sua bella Angelica al seguito di un’avventura tutta italiana per cantare il perché di quei tre colori: il bianco delle nevi delle Alpi, il verde delle valli di Toscana e il rosso dei tramonti siciliani. E poi ancora – con tutte le foto alle pareti a fare il coro – “Col bianco dei capelli di mia madre/col verde di due occhi tanto belli/col rosso, rosso sangue dei fratelli”.
Una storia che sa di famiglia, la destra. Conclusa nel tempo di un applauso, con le lacrime a far da sipario.