Il 18 giugno, quando Musumeci e i suoi assessori saranno riuniti a Palermo per celebrare i primi tre anni e mezzo di successi, uno di essi – il responsabile dell’Economia, Gaetano Armao – potrebbe dover fare i conti con il giudizio implacabile della magistratura contabile, che ha in programma l’udienza di parifica del rendiconto 2019 della Regione siciliana. Difficile aspettarsi buone nuove. Il fatto che la Corte dei Conti abbia rinviato così tanto il pronunciamento induce a pensare che la situazione non sia esattamente placida. La Sicilia, vale la pena tornarci per un attimo, è reduce da un faticosissimo accordo con lo Stato, grazie al quale sarà possibile spalmare 1,7 miliardi di disavanzo in dieci anni (anziché in tre). Nonché dall’approvazione del più importante strumento contabile dell’ente – la Finanziaria – senza aver chiari i saldi a disposizione. L’ultimo rendiconto parificato è quello del 2018. Vuol dire, praticamente, giocare al buio.
Il governo l’ha fatto: da un lato per non scontentare Roma, che aveva richiesto con garbo di non prolungare l’esercizio provvisorio oltre il 28 febbraio; dall’altro perché Armao era giuridicamente coperto di fronte a tale rischio. Cioè le leggi gli garantivano di poter chiudere il Bilancio pur in assenza di parifica. E ha sfruttato questa possibilità a dovere. Peccato che a distanza di due mesi dall’approvazione della manovra, molte somme siano ancora ‘congelate’: a partire dal miliardo e quattrocentomila euro che la Regione ha scelto di accantonare puntando su una compensazione (per le mancate entrate dovute al Covid) che lo Stato, però, non ha mai ratificato. Qui sorge l’inghippo. Il ragioniere generale, Biagio Mazzotta, ha messo la questione nero su bianco, spiegando che la decisione assunta dal governo Musumeci “risulta priva di idoneo presupposto giuridico”, anche perché “non si è a conoscenza di alcuna determinazione congiunta con lo Stato”. Chi fa le leggi, prima di procedere, dovrebbe accertarsi della loro legittimità procedurale. O si rischia la tagliola.
Impugnare questo articolo avrebbe conseguenze nefaste nel prossimo triennio: sia per i servizi ai disabili, che per il trasporto pubblico locale. Ma anche per gli impegni assunti coi precari: dagli Lsu agli ex Pip. Dover rinunciare a tante risorse sarebbe la fine, come ha lasciato intendere Armao in una dichiarazione estrapolata da Repubblica: “Nella preparifica (della Corte dei Conti)”, i giudici “hanno messo nero su bianco che i soldi che abbiamo a disposizione non bastano per garantire neanche i servizi essenziali che lo Stato delega alla Sicilia per la sua autonomia. Roma deve darci più soldi, altrimenti salta il sistema”. Armao spiffera che i giudici contabili siano suoi alleati, quando in realtà la seconda partita ha un peso non inferiore alla prima: riguarda, appunto, la parifica.
Una pratica che si è trascinata nei mesi, fino alla definizione di una data – il 18 giugno – che coincide con la manifestazione “governativa” di Palermo, in cui il presidente della Regione potrebbe ufficializzare la sua ricandidatura. La parifica della Corte dei Conti è in ritardo di quasi un anno. I motivi di questo rinvio esagerato sono molteplici: da un lato le difficoltà ai vertici della sezione giurisdizionale. La scomparsa prematura della giudice Luciana Savagnone, nei mesi scorsi, ha imposto un cambio al vertice, che si è concretizzato solo poche settimane fa con la nomina di Salvatore Pilato (già ricevuto da Musumeci e Micciché per i convenevoli di rito).
Ma dalle operazioni di parifica emergono altre difficoltà. Come si era già palesato all’inizio dell’anno, quando i magistrati avevano “suggerito” alla Regione il ritiro in autotutela del rendiconto già approvato, a causa di alcuni errori da matita blu: ad esempio l’iscrizione a bilancio di 300 milioni di residui attivi che, invece, bisognava cancellare per tempo (Musumeci se l’è presa coi dirigenti, ma alla fine della fiera non ha punito nessuno). La ragioneria generale dello Stato ha pertanto ri-analizzato il testo. Una procedura che ha fatto perdere mesi. La Corte dei Conti, che non risponde a nessuno se non a se stessa, ha fatto il resto. Non accelerando mai le pratiche. Così ci ritroviamo a giugno inoltrato con alcuni dubbi atavici: quanto è veritiero il rendiconto della Regione di due anni fa? Su quali basi poggia il Bilancio approvato lo scorso marzo, e di conseguenza la Finanziaria? A quanto ammonta il nuovo, eventuale disavanzo? Qualora dall’analisi della magistratura contabile dovessero emergere dei rilievi – non è improbabile – sarà in grado la Regione di “riparare” coi 100 milioni già allocati all’uopo? O serviranno tagli extra?
Queste domande hanno un riflesso importante sulla vita di tanti siciliani, e non sulle mere sorti del governo. La decisione della Corte, inoltre, si intreccia con le impugnative proposte da Roma (se ce ne saranno): il ragioniere generale dello Stato ne ha raccomandate sette. Alcune norme, come quella che riguarda la stabilizzazione dei precari Asu, rischiano di andare in fumo. Ma anche l’accantonamento da 1,4 miliardi rischia di rappresentare una perdita cospicua, se non addirittura una dichiarazione di bancarotta. Armao ha già attivato i suoi canali presso la ministra Gelmini allo scopo di evitare l’ennesima figuraccia, mentre giovedì prossimo incontrerà il viceministro all’Economia Alessandra Sartore (ex componente della giunta di Zingaretti, nel Lazio) per discutere nei dettagli le scelte del MeF. Capire se ci sono delle vie d’uscita. Eventualmente, come attivarle. Ma una cosa è certa: mentre il governo continua ad armeggiare con l’emergenza sanitaria, la Regione rischia davvero il tracollo economico.