Nel giorno in cui a Palermo è cominciato il razionamento idrico (prima criticato da Schifani, poi confermato dalla Cabina di Regia per la siccità, che lui stesso ha istituito), la politica siciliana continua ad arrovellarsi per trovare un senso a un weekend surreale, scandito nell’ordine: da un intervento alla Camera di Davide Faraone, dalla ritorsione dell’ex renziano Marcello Caruso (che, diventato forzista, ha chiesto di espellere i renziani dalla giunta di Palermo), dall’imbarazzo del sindaco Lagalla e dai rancori del presidente della Regione. Che dovrebbe occuparsi di mille altre cose, ma trova il tempo per partecipare – da protagonista – a una caciara che non lo riguarderebbe: “L’anomalia col Comune di Palermo va avanti da troppo tempo”, ha detto riferendosi alla presenza di Italia Viva nella maggioranza.
Cosa c’entri Schifani col Comune di Palermo è un mistero, e forse un sindaco con la schiena dritta gliel’avrebbe rinfacciato (a costo di fare la fine di Faraone). Invece Lagalla balbetta dal primo istante. E se da un lato dichiara di non voler essere tirato per la giacca, dall’altra apre all’ipotesi di rimpasto, mettendo in conto di liberarsi di uno dei pochi assessori che sembra funzionare: il renziano Totò Orlando. Perché così vuole Schifani. La ritorsione sta nel fatto che Forza Italia -viceversa- minaccia l’uscita dalla giunta, lasciando a piedi il sindaco. Lo spettacolo è disarmante, eppure continua a riempire le cronache dei giornali. In attesa che l’Ars si rimetta finalmente a lavorare, che il governo proponga una riforma, che il Comune esca dal “male di vivere” che qualche giorno fa ha visto finire sul banco degli imputati anche l’ex sindaco Orlando, che non amministra da quasi tre anni (ma torna utilissimo per lo scaricabarile).
Schifani e Lagalla ne avrebbero di problemi da risolvere, eppure si dedicano al principale passatempo: le schermaglie. Interrotte, a tratti, da qualche discussione sul sottogoverno: a cominciare dalla nomina del sovrintendente del Teatro Massimo, che ha permesso ai due contenders di firmare una tregua armata dopo le difficoltà degli ultimi mesi (si avvicina la conferma di Marco Betta con la benedizione del ministro Giuli). Ma sia il Comune che la Regione navigano in pessime acque, come dimostrano le ultime vicende: Schifani che scappa dalla Iene è un uomo in difficoltà per la piega che ha preso l’emergenza idrica. Ma è soprattutto un uomo senza risposte, a cui non bastano i piccioli dello Stato per ricucire le ferite di agricoltori e allevatori, per riportare l’acqua in provincia di Caltanissetta senza fare ricorso alle autobotti, per riempire la diga Ancipa, che non ha più i volumi necessari di sopravvivenza e rischia di lasciare a secco cinque comuni dell’Ennese.
Fabrizio Lentini, un paio di giorni fa su Repubblica, ha pennellato la situazione attuale con punte di realismo dolorose: “Che cos’altro c’è, dietro la corale indignazione per gli attacchi di Faraone al governatore Schifani su rifiuti e siccità, se non il gioco di società fuori dal tempo e dal buonsenso di un centrodestra impegnato quotidianamente a spartirsi assessorati, a inseguire rimpasti, a disputarsi la guida di teatri lirici, aeroporti, ospedali, municipalizzate e consorzi di bonifica, mentre la Sicilia soffoca nelle campagne riarse, vede boccheggiare l’agricoltura, abbandona il turismo a un caotico fai-da-te, si ritrova collegamenti stradali e ferroviari da Terzo mondo, assiste impotente ai viaggi della speranza per curarsi e all’emigrazione di massa dei giovani per studiare, lavorare, vivere in città moderne e civili?”.
Schifani si guarda bene dal rispondere, affrontando nel merito le questioni poste. E nel weekend, per dividersi tra le celebrazioni di San Francesco d’Assisi e il tiro al bersaglio su Faraone, non ha potuto partecipare nemmeno alla festa dei patrioti a Brucoli (nel resort che ha scucito 200 mila euro in voucher per i turisti, di cui la stragrande maggioranza rimasta invenduti). Anche Lagalla, il rettore, sa bene delle difficoltà di Palermo. Oggi comincia il razionamento idrico predisposto da Amap, per evitare che la città rimanga senz’acqua da qui ai prossimi mesi. Eppure, anche lui, discetta di posti di governo: “Non ho in agenda, in questo momento, un argomento che riguardi il rimpasto della giunta – ha detto -. Abbiamo detto sempre che avremmo fatto un tagliando, di tutte le posizioni, a metà mandato. Si sta consumando un fatto politico che non riguarda il Comune. Valuteremo nei prossimi giorni se ci saranno delle ulteriori richieste di approfondimento, da parte dei partiti”.
Forza Italia non poteva essere più chiara e anche Carolina Varchi (FdI), che dopo aver conteso il primato al sindaco, ha finito per fargli da vice (salvo dimettersi per riposizionarsi a Montecitorio), l’ha attaccato con discrezione, dicendo basta alla politica “dei due forni”. Lagalla si ritrova nella posizione di chi non ha un partito disposto a proteggerlo, ma solo avversari pronti a pugnalarlo. Finora era riuscito a schivare i colpi grazie alla complicità di una lista civica, secondo molti di estrazione renziana, che faceva capo a lui. E che adesso il centrodestra gli chiede di disperdere, come fa la polizia coi manifestanti facinorosi.
Così il sindaco rimarrebbe sempre più solo e in balia degli eventi. Una specie di burattino tirato per la giacchetta -altroché- dal primo che passa. Qui ci viene ancora in soccorso Fabrizio Lentini, intervenuto qualche giorno fa sul diverbio (a distanza) con Orlando: “Lagalla? Non ha saputo finora dare un’anima alla sua amministrazione: ha messo i conti in ordine, ha risolto l’emergenza cimiteri, ha cominciato a riparare strade e marciapiedi in abbandono, ma non ha saputo andare oltre la gestione ordinaria, oltre l’inseguimento affannoso dei problemi contingenti. Non ha disegnato una strategia sul centro storico (lo ha fatto rilevare l’arcivescovo Lorefice) o sulle periferie, non ha adottato scelte nette sulla mobilità surfando tra interessi contrapposti, non ha avviato i grandi progetti finanziati dal Pnrr, ha fatto un passo avanti e due indietro in materia di diritti civili, non ha neanche lanciato uno slogan, un obiettivo riconoscibile, una meta condivisa”.
Sul piano dell’operatività, insomma, Schifani e Lagalla sono più simili di quanto credono. Hanno tratti e peculiarità differenti: uno lascia esplodere i rancori, l’altro calibra le parole; uno è dotato del “cerchio magico” che lo difende, l’altro punta sulla cifra della solitudine per non finire scalfito. Ma entrambi dovrebbero rendersi conto che il tema di Italia Viva e di un assessore dentro o fuori dalla giunta, non basterà a risolvere i loro problemi e i loro guai. Semplicemente, li aiuterà a coprirsi di ridicolo.