Niente, scriveva Tolstoj, è triste come la fine di un amore, ma la fine di un viaggio manco babbìa. Vi dirò. Ci sono viaggi e poi ci sono altri viaggi, quelli che mentre li fai ti mancano già perché noi siamo fatti così, non riusciamo mai a goderci le cose fino in fondo perché sappiamo che finiranno, e se non è una maledizione questa ditemi voi. Comunque.

Io ormai non riesco ad affezionarmi a un viaggio che non preveda lo spostamento continuo, fare e disfare i bagagli – della moto in questo caso -, cambiare otto alberghi in otto giorni e alla fine dei conti faticare a metterli tutti in fila per il verso giusto, ma qui abbiamo dormito mercoledì o giovedì?

La curiosità di vedere posti sempre nuovi archiviando velocemente quelli già visti. Svegliarsi alle sette del mattino, in cima a una montagna spagnola, aprire la cartina e dirsi e oggi dove si va? Il viaggio programmato da mesi che poi diventa un altro viaggio perché nel frattempo hai scorto una strada alternativa o il tizio dell’albergo te ne ha suggerita una che non puoi perderti.

Decidere al mattino di dormire in un posto e finire regolarmente in un altro, paesi sperduti senza niente dentro, nemmeno la piazza, nemmeno i vecchi che giocano a carte al bar perché neanche il bar c’è. E ti chiedi: ci vivresti così? Saresti disposto a perdere tutto quello che hai per un posto così, per una vita così? Forse no, però mentre sei in sella ci pensi, guardi la gente che fa le sue cose senza fretta, la farmacia da un lato, la drogheria dall’altro, la chiesa, il giardino, la scuola dei bambini in fondo alla strada e pensi perché no? Il mondo in un metro quadrato e un sacco di tempo per te. Forse il segreto di tutto è nei posti senza niente.

Sono uno che non conosce posti brutti. Io amo tutti i posti che vedo. Non capisco chi torna da un viaggio e dice sai, non m’è piaciuto. Devi entrarci nelle cose. Non bastano gli occhi, questo col tempo ho capito. Io ho amato tutto quello che ho visto, e con l’esperienza ho addirittura imparato ad affezionarmi soprattutto ai posti meno significativi, ai momenti di noia o di défaillance o di paura – che in un viaggio fatto come si deve non mancano mai. Sono soprattutto questi che ricordo con più nostalgia.

E poi pensare, mentre sali le scalinate sgarrupate di un castello a duemila metri dove i monaci si nascondevano secoli fa, a un altro viaggio, il prossimo. Due giorni fa con Marco, sulla strada di ritorno, eravamo un po’ così, non dico tristi ma insomma sapevamo che il bello era alle spalle. Ci siamo fermati a un autogrill, le moto lì, noi qui, lui beveva la sua orribile Red Bull, io il mio gerontologico cappuccino e non abbiamo parlato per un po’. Poi a un tratto lui s’è illuminato, “ma se il prossimo anno facciamo la Grecia?”. E abbiamo cominciato a pianificare la Grecia mentre c’erano ancora mille chilometri da fare per tornare a casa, perché in fondo il gioco è tutto qui, mettere un altro viaggio dentro a un viaggio, qualunque sia, ovunque ti porti.