Il Pd siciliano non riesce a trovare pace e la sfida congressuale tra Faraone e la Piccione acuisce tensioni e diversità. Mentre i due protagonisti delle primarie del 16 dicembre sono stati convocati a Roma (ma neanche al Nazareno riescono a riportare la calma), i rispettivi sostenitori passano la vita a scannarsi. Tra congressi rinviati, fughe di lato (Renzi), promesse disattese e valori in bilico, l’unità all’interno del partito pare stagliarsi su un orizzonte lontanissimo.
E l’ultimo mal di pancia che si registra, in ordine di tempo, arriva dall’Ars. Dove sei degli undici deputati “dem” hanno chiesto una convocazione urgente al capogruppo Giuseppe Lupo, che dovrebbe essere garante dell’intero gruppo parlamentare ma che con il suo endorsement a Teresa Piccione rischia di non apparire più, rispetto a un anno fa, il rappresentante di tutti. Nello Dipasquale, uno dei firmatari di questa richiesta che per tempismo appare assai “sospetta”, prova a dare una spiegazione: “Abbiamo bisogno di un confronto su alcune questioni che riguardano i lavori d’aula e di commissione” spiega il deputato regionale, ex sindaco di Ragusa.
Onorevole Dipasquale, le sottopongo un’altra ricostruzione. Il vostro capogruppo che prende le parti di una candidata e non fa nulla per nascondere il suo “malessere” verso Faraone, potrebbe avervi dato fastidio…
“Abbiamo votato Lupo come capogruppo del Pd quando non lo volevano nemmeno i suoi amici. E siamo stati noi, gli amici di Davide Faraone, a mettere da parte le posizioni correntizie – renziani e non renziani – e decidere di sostenerlo. E’ ovvio che ci dispiace che non si trovi più con noi”.
Un altro fronte aperto è quello che riguarda la celebrazione dei congressi provinciali.
“In un partito ci sono delle regole, e le regole si rispettano sempre. Se i rappresentanti nazionali decidono di stoppare i congressi che stavano per celebrarsi in alcune città, un motivo ci sarà. L’impressione è che qualcuno voglia utilizzare questo momento per fare caciara o forzare la mano. E’ un segno di debolezza non utile né al partito né alla politica in generale”.
Non l’abbiamo ancora specificato, ma il messaggio è abbastanza chiaro: lei alle primarie farà votare Faraone. Perché?
“Io sono entrato nel Pd quattro anni fa. Sono stato coinvolto dal suo progetto politico e non avrei motivo per percorrere una strada diversa. Davide ha tutte le caratteristiche per poter governare il Pd, ma non nell’interesse di una parte: può essere davvero il segretario di tutti. E’ giovane, rampante, aperto, inclusivo, non settario. Ha voglia di fare le cose: serve questo”.
Ma davvero il Pd rischia di diventare il contenitore, oltre che della vecchia sinistra, anche dei moderati? E’ un parola che oggi si accosta spesso ai centristi, agli scontenti di Forza Italia…
“Guardi, io sono di origine democristiana e ho una visione persino liberale. Ma qui si tratta di fare quello che è scritto nello statuto. Il Pd raccoglie riformisti, progressisti, socialisti, social-riformisti, moderati, popolari. E, aggiungo io, liberali, ex liberali ed ex repubblicani. Il Partito Democratico deve essere la casa di tutti coloro che non si ritrovano in chi governa il paese, cioè le forze populiste e anti-democratiche. Oggi chi pensa di far diventare il Pd un clan o un gruppo di quattro amici al bar, si sbaglia”.
Ma rischia di non essere più la casa di Matteo Renzi. Che fa lei se l’ex premier decide di fondare un suo movimento?
“Al momento non c’è alcuna discussione in questo senso, solo voci. Io il mio impegno con Renzi ce l’ho dentro il Pd. Se Renzi dovesse pensare di fare una cosa diversa, quando prospetterà soluzioni e percorsi cercheremo di capire quali sono e ognuno deciderà se seguirlo o meno”.
Ma così va in frantumi il progetto di un Pd unito.
“Il mio auspicio è che non avvenga. E che tutti insieme troviamo le motivazioni per rilanciarlo. Non è facile – e me ne rendo conto – rappresentare la sintesi fra culture diverse, come quelle che provengono dal Partito Comunista, dalla Democrazia Cristiana o dal Partito Socialista. Ma ritengo che uno sforzo ulteriore vada fatto”.
Che senso ha?
“Dobbiamo avere l’ambizione di rappresentare una sintesi che vada a contrapporsi al qualunquismo delle nuove classi dirigenti. Siamo gli ultimi riferimenti, e lo sono in modo particolare i fondatori del Pd, di culture politiche di altissimo livello”.
Tornando al congresso siciliano. Perché Sicilia Futura, che è un altro partito rispetto al Pd e talvolta appoggia Musumeci all’Ars, può metterci il naso?
“Le primarie, da statuto, sono aperte. Chi si sente rappresentato da una linea politica, al di là delle appartenenze, può partecipare in modo democratico”.
Da Cracolici, Lupo e compagni sono arrivate considerazioni al vetriolo su Faraone. Se le basi del confronto interno sono queste, come sarà possibile ricostruire il dialogo e l’unità all’interno del Pd siciliano?
“Quando da certi uomini di sinistra sento dire che la Piccione rappresenta l’unico baluardo dei valori del Partito Democratico, non mi sembra vero. Ricordiamoci che la Piccione era uno degli otto deputati che fece opposizione a Renzi quando venne approvata la Legge Cirinnà sulle unioni civili. Ma come fanno a dire che è un baluardo dei nostri valori? Come potrebbero convivere, loro che si dicono di sinistra, con chi ha dimostrato chiusura su questi temi?”.
Ecco, il dialogo appare sempre più un’utopia…
“Mi sembra che chi fa opposizione a Davide Faraone sia guidato più da posizioni anti-qualcuno o anti-qualcosa, e non da un progetto per governare e rilanciare il Pd. Erano divisi anche quando c’era da eleggere Lupo come capogruppo, ma oggi si ritrovano insieme… Faraone, invece, ha un progetto a favore del partito”.
L’unica cosa che vi unisce sembra essere la bocciatura dell’esperienza al governo con Crocetta.
“Effettivamente è stata consegnata alla storia come un fallimento. E ne abbiamo pagato il prezzo anche con la sconfitta di Micari alle elezioni. Non ha mica perso Micari… Ma il punto adesso è un altro”.
Quale?
“Che l’attuale governo, quello di Nello Musumeci, ci sta facendo perdere altri cinque anni. Come successo con Lombardo e con Crocetta. In totale fanno quindici…”.
Perché Musumeci, dopo appena un anno, rappresenterebbe già un fallimento?
“Dai sondaggi più recenti, non ha più il gradimento della maggioranza dei siciliani. E non può pensare di risolvere i problemi della Sicilia facendo un comunicato stampa e annunciando che non ha i numeri in assemblea… Non è stato capace di venire in aula e relazionare, non è stato capace di trovare una soluzione, né di dimettersi. Non può continuare a galleggiare. A volte vedo anche in lui dei tratti anti-democratici”.
Si spieghi…
“E’ difficile accettare che un presidente di Regione pensi che la maggioranza non serva a nulla. Non esiste sindaco o amministratore che possa governare senza. E non è sufficiente dichiararlo. Bisogna essere consequenziali e trovare una soluzione. Qui si parla di regole basilari della democrazia”.
Cosa suggerisce?
“Le cose sono tre: o ricompatta la sua maggioranza, o ne trova un’altra, o si dimette. In questo modo non può certo garantire il programma di governo. Invece Musumeci continua a vivere nel favoloso mondo di Amelie… Il problema non è dell’assemblea ma del governo. Ed è un problema su cui dovrebbero accendere i riflettori anche gli organi di informazione, non solo l’opposizione”.