Draghi, che è il più furbo di tutti, tace. Gli altri, invece, sproloquiano. Allontanando ogni giorno di più la prospettiva di un collegamento stabile tra Sicilia e Calabria, nonché il sogno di diventare “il cuore, la piattaforma logistica del Mediterraneo” (cit. Musumeci). Basti vedere cosa sta accadendo nel Movimento 5 Stelle: dopo gli scontri registrati all’assemblea dei gruppi parlamentari di Camera e Senato, resa necessaria dal lavoro dei tecnici del Ministero delle Infrastrutture (e da alcune interviste un po’ audaci sui giornali), l’unica soluzione proposta è una nuova commissione “per approfondire il progetto”. Un’altra commissione. In verità, quella istituita dall’ex ministro De Micheli, quando Giancarlo Cancelleri era il suo vice, ha consegnato una relazione che a molti grillini non piace. Ha finito per riassottigliare il confine fra battaglia ideologica e battaglia “di merito”, l’unica in grado di poter garantire una prospettiva. Ma una prospettiva reale non c’è: è solo un tutti contro tutti, nel tentativo di coinvolgere il premier e il ministro Giovannini, che da buoni strateghi dicono di non avere nulla in contrario, ma che in fondo passeranno volentieri il malloppo a chi arriverà dopo di loro.
La partita sul ponte di Messina è aperta da quarant’anni e ogni volta, a un timido passo avanti, ne corrispondono dieci indietro. Nel 2012, attraversando lo Stretto a nuoto, il fondatore del M5s Beppe Grillo la definiva “un’allucinazione mentale”, ma oggi parte dei Cinque Stelle dà credito alla proposta di Cancelleri, divenuto nel frattempo sottosegretario: cioè che il Ponte s’ha da fare. Guai, però, a chiamarlo così. “Non dobbiamo discutere se fare il Ponte sullo Stretto (il ponte di berlusconiana memoria è morto), non si sta parlando più di quello – ci ha tenuto a precisare l’ex vicepresidente dell’Ars – ma vogliamo analizzare un progetto per il Sud. Vogliamo vedere se si riesce a ricomprendere l’alta velocità da Milano al Sud: anche noi vorremmo vedere i Freccia Rossa o Freccia Argento arrivare nella nostra regione”. E allora meglio nascondere le parole, ammantarle con un tocco di magia e di modernità: collegamento stabile, progetto per il Sud, Ulisse… Ma resta pur sempre un Ponte dalla lunghezza sconfinata (più di tre km), bollato in principio come “la grande opera della propaganda berlusconiana”. Il Cav. arrivò a un passo dal concretizzare la posa della prima pietra; Monti rovinò tutto, bloccando l’opera e aprendo un contenzioso col consorzio Eurolink.
I grillini non lo dicono apertamente, ma questo general contractor – di cui è capofila l’impresa Webuild (ex Impregilo-Salini) – lo vorrebbero fuori dai piedi. Come accaduto coi Benetton per Autostrade o, per restare ad esempi più “locali”, col gruppo Bonsignore nel progetto della Ragusa-Catania, che sarà lo Stato a dover finanziarie fino all’ultimo centesimo. Al M5s il progetto di Salini non piace: forse perché risalente a vent’anni fa, forse perché ha il timbro di Berlusconi, oppure perché – come spiega sul Fatto Quotidiano Mauro Coltorti, presidente della Commissione Lavori pubblici del Senato – “presenta problemi enormi. La campata unica più lunga al mondo arriva a 1.900 metri, mentre a Messina supererebbe i 3,5 km. Questo perché i versanti dei due lati sono anch’essi interessati da frane”, chiarisce Coltorti, che è anche ordinario di Geomorfologia all’università di Siena. Sa di cosa parla.
Al professore non va bene neanche l’opzione uno, la preferita della commissione tecnica del Mit. Cioè il ponte aereo a tre campate, che è “potenzialmente più conveniente” di altre piste (come il tunnel subalveo, che piaceva a Giuseppe Conte ed è stato, invece, sonoramente bocciato). “Da un punto di vista tecnico – spiega ancora Coltorti, che non fa mistero di disprezzare un investimento così esoso – mi preme rimarcare come la nuova soluzione, che vorrebbe il ponte realizzato a tre campate con due piloni poggiati a circa 90 metri di profondità sul fondale, è sicuramente insostenibile. Il fondale (…) appare interessato da un complesso di frane di oltre 3 km di larghezza, e lunghezza con spessori che superano il centinaio di metri. Frane che si sviluppano sia verso est sia verso ovest senza soluzione di continuità. Non esistono, a oggi, soluzioni ingegneristiche in grado di ovviare con certezza a questi movimenti. Si tratta di frane attive, o comunque, quiescenti, vale a dire che si possono riattivare in qualsiasi momento. E in un’area sismica tra le più critiche d’Italia”. Ma se ciò che dice Coltorti è vero, che senso ha dare fiato alle trombe? Perché insistere con soluzioni in apparenza avveniristiche, ma del tutto impraticabili? A chi fa comodo?
Il rischio, da sempre paventato, è utilizzare il Ponte come riempitivo che va bene “con qualunque contesto politico quando la situazione langue” (per citare Gery Palazzotto su Repubblica). Il principale degli strumenti di distrazione di massa, almeno per i siciliani. Probabile che ci sia un trucco anche stavolta (l’approssimarsi delle urne?), ma non possiamo esimerci dal seguire il dibattito e registrare gli umori. Mentre in Parlamento i partiti del modello Draghi formano un fronte comune, e consegnano al presidente del Consiglio un articolato ‘Patto del Ponte’ (firmato il 7 maggio a Villa San Giovanni), in Sicilia ci si alterna fra sparate propagandistiche e rassegnata diffidenza. Chi pratica quest’ultima, evita interventi prolissi sul dibattito pubblico. Ma chi governa – come Musumeci in questo caso – ha il dovere di battere cassa, usando l’eco della discussione (anche) per il proprio tornaconto personale. D’altronde, se il blitz riuscisse, potrebbe essere proprio lui il fautore del nuovo Ponte sullo Stretto (gli ha già dato un nome: Ulisse).
Il governatore siciliano tifa per la soluzione a una campata. Ossia il collegamento progettato da Eurolink e “approvato” da Berlusconi. Ha persino raccolto la disponibilità di Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild, a “partire anche domani” (in realtà, dal via libera, servirebbero otto mesi per tirar su i cantieri). I tecnici del Ministero delle Infrastrutture, nella relazione da 200 pagine, individuano alcuni punti di forza, e cioè la “disponibilità del progetto definitivo, ancorché non approvato dal CIPE”, che “può consentire una riduzione dei tempi dell’iter approvativo, quindi una maggiore velocità di avvio della fase realizzativa almeno per l’opera di attraversamento stabile”. Ma anche una “ridotta sensibilità alla sismicità dell’area e alle conseguenti azioni sismiche”, “nessuna interazione con il traffico marittimo”, e un “limitato impatto su fondali e flora\fauna marina”.
Eppure costruirne uno aereo a tre campate, secondo le stime iniziali di Italferr (la società di Ferrovie dello Stato, che è ferma a una fase preliminare) costerebbe meno, con la possibilità – in pratica – da parte delle due Regioni di finanziarselo da sole (1,8 miliardi di investimento complessivo, contro i 7 del piano-A). Però bisognerebbe aspettare anni, un’immensa trafila burocratica che si vuole scongiurare in ogni modo (nella relazione, infatti, si evidenzia la “mancanza di un progetto definitivo e studi di fattibilità datati”). “Naturalmente – ha detto Musumeci fino a poche ore fa – il pregiudizio ideologico ha avuto il sopravvento sulla tutela degli interessi legittimi della Sicilia, che chiede di candidarsi a diventare la base logistica del Mediterraneo. Siamo stanchi di pagare un altissimo prezzo per la marginalità e la perifericità rispetto al continente europeo”. Mentre qualche giorno fa, richiamando l’attenzione di Draghi sul tema, si era spinto oltre: “Siamo stanchi di essere considerati una colonia. C’è chi vuol mantenere il sistema Italia diviso in due: un Nord ricco e opulento che produce e un Sud povero e straccione che consuma i prodotti del Nord”.
Secondo i Cinque Stelle, che non hanno ancora consumato la polemica fino in fondo, e che forse non la consumeranno mai (da fuori c’è anche l’ex iscritto, Alessandro Di Battista, che spinge per il ‘no’), bisogna passare a un nuovo livello di consultazioni. Non tanto, e non solo, la commissione proposta da Giuseppe Conte a Cancelleri. Bensì l’esplorazione della volontà popolare: questa volta, però, uscendo dai recinti di Rousseau, e affidandosi a un referendum consultivo che coinvolga gli abitanti di Sicilia e Calabria. La proposta arriva direttamente dal capogruppo M5s all’Ars, Giovanni Di Caro: “Per un’opera così impattante sarebbe giusto dare la parola a chi con questa infrastruttura avrà più a che fare, i siciliani e i calabresi: facciamo un referendum come fu fatto nel 2016 per le trivelle, ma solo dopo che sul ponte si avranno a disposizione i principali elementi per potersi esprimere, ossia un progetto di massima. Si mettano sul piatto costi, benefici, ricadute economiche per i territori e si faccia decidere ai cittadini, tenendo sempre presente, però che il ponte deve essere pensato come l’ultimo miglio, come punto finale di una rete di infrastrutture riammodernata e finalmente all’altezza di una società civile. Solo in quest’ottica avrebbe senso parlare di ponte”. Della serie: dateci oggi il nostro Ponte quotidiano.