Dario Franceschini ha fatto in tempo a nascere democristiano, e si vede: interpretarne il pensiero è un’arte raffinata così come, nella prima Repubblica, non si era mai certi di aver compreso ciò cui alludevano i mostri sacri della Dc. Nella sua conversazione di giovedì con Repubblica, Franceschini sostiene un’assurdità: per vincere le prossime elezioni politiche, nel 2027, l’opposizione dovrebbe presentarsi divisa e non unita, che suona l’esatto contrario del buonsenso. Soltanto sommando le forze il centrosinistra potrà sperare di farcela per un soffio, altrimenti finirà come nel 2022; possibile che quella vecchia volpe della politica non se ne renda conto? Ma poi, scartando l’involucro dell’intervista, si scopre che c’è un metodo nella follia.
Franceschini lo riconosce, un’alleanza sarà necessaria; però giusto il minimo indispensabile, in modo da permettere a ogni partito o partitino di esprimere il suo potenziale che viceversa verrebbe tarpato da mediazioni e da accordi contronatura. Per cui va bene convergere su un candidato comune nei collegi (all’incirca il terzo del totale) dove vincerà chi arriverà primo; rinunciarvi sarebbe suicida; ma negli altri due terzi dei seggi, assegnati col metodo proporzionale, sarà meglio sventolare ciascuno la propria bandiera senza commistione di simboli. Mutuando la strategia del feldmaresciallo prussiano Helmut Karl Bernhard von Moltke, l’astuto Franceschini teorizza: “Marciare divisi per colpire uniti”. Il che già risulta meno incomprensibile del “marciare uniti per buscarle di nuovo”, lasciando Giorgia Meloni per altri cinque anni a governare indisturbata. Ma poi, come in un gioco di matrioske di cui va data lode a Stefano Cappellini (autore dell’intervista), ecco affiorare un terzo più profondo livello di riflessione. Che riguarda stavolta Elly Schlein.
La segretaria Pd, lo sappiamo, sostiene il “campo largo”, anzi larghissimo. E con spirito “testardamente unitario” sogna un’intesa solida, strutturata che dalla sinistra-sinistra si spinga fino a Matteo Renzi passando per due altri personaggi che tanto d’accordo tra loro non vanno, Giuseppe Conte e Carlo Calenda. Ecco: a Elly il nostro Dario obietta che così farebbe solo danno perché la costruenda alleanza finirebbe per arenarsi nelle dispute sulla composizione, sulla leadership e sul programma. Non se ne verrebbe mai a capo, sarebbe fatica sprecata, per cui meglio lasciar perdere da subito. Il che suona, se ci si pensa, come espressione di scetticismo ma anche un po’ di sfiducia nelle abilità della Schlein, nelle sue capacità di unire i diversi sotto uno stesso tetto, nonostante Franceschini fosse stato tra i principali sponsor della segretaria quando sembrava che la bilancia Pd pendesse verso Stefano Bonaccini. Continua su Huffington Post