Io non credevo agli angeli. E per la verità continuo a non crederci. Nel senso che non credo plasticamente alla forma che la religione e l’arte gli attribuisce: esseri spirituali, rappresentati però con le ali, ma leggiadri e invisibili. E bellissimi, che sennò perché per esaltare una bellezza diciamo “sembra un angelo”. Fateci caso, le nostre vite sono piene di angeli. Li troviamo dentro le canzoni, celebrati a teatro e nei film, a popolare i nostri sogni e le nostre fantasie, a suggestionare le coincidenze: quante volte vi è capitato di attribuire al “nostro angelo custode” un fatto finito bene? Insomma, io non ci credo ma infine mi sono convinto che esistano. O meglio: che esistano nelle vite di alcuni.
Così almeno mi ha raccontato Marck Art, che fu Marco Urso nella vita precedente. E a furia di parlarmene, di cuntare e ricuntare, la sua storia favolosa mi si è appiccicata addosso ed è diventata così vera da alimentare in me una passione tale da “costringermi” a scriverla. Marck è un giovane uomo adorabile. Suscita subito simpatia appena lo incontri, e certamente contribuisce anche il suo aspetto: avete presente l’attore americano Danny De Vito: toglietegli una trentina d’anni: sono identici! Marck però ha un evidente strabismo ed è costretto a indossare le protesi acustiche perché è nato sordo. Pensate, lo hanno scoperto solo quando aveva tredici anni. E siccome chi non sente parla come parla, credevano che lui fosse scemo, tanto che a scuola per assegnargli il maestro di sostegno lo hanno dovuto bollare con i crismi dell’ufficialità: “ritardato”.
Provate a immaginare un bambino nelle sue condizioni che cresce in un ambiente difficile come Favara, provincia di Agrigento, periferia della periferia. Lo hanno bullizzato, deriso, sfottuto e preso in giro per anni e anni, fino a costringerlo a rinunciare a continuare gli studi e a rinchiudersi a casa. Lo ha sorretto il meraviglioso rapporto con la nonna materna. Che però era molto vecchia e quando è morta lui è sprofondato in una depressione che lo ha spinto a mangiare e a ingrassare e a dormire sempre. Poi un controllo in ospedale, una polisonnografia, un lieve coma, la disperazione dei genitori, padre muratore, madre casalinga, gente umile, povera. Ma ecco che Marco torna, si sveglia e annuncia di chiamarsi Marck Art come gli hanno detto gli angeli che “ha incontrato sulle rive del Giordano”. Dice di vederli, accanto a lui, accanto a noi, a tutti. Racconta che è tornato in vita grazie a loro, che lo hanno trasformato in un pittore, il pittore degli angeli! E che deve mettersi subito a dipingere.
Immaginate l’incredulità, lo sbigottimento dei medici riuniti attorno al suo letto. Che ci crediate o meno, Marck, che fino a quel momento non aveva preso un pennello in mano, si mette all’opera. E a questo punto la storia diventa una favola, o forse la favola diventa una storia che deve farci interrogare e riflettere: Marck dipinge opere che affascinano i più grandi collezionisti italiani ed europei, che le acquistano e le espongono accanto ai grandi dell’arte pittorica. Oggi è un affermato artista coccolato da critici e collezionisti e adorato da tutti. La sua parabola è finita dentro al mio libro “L’arte della salvezza” (titolo che per trovarlo mi ha tenuto sveglio una notte intera) pubblicato da Zolfo Editore. Mi piace presentarla anche come una storia di riscatto. Il riscatto di un ragazzo che ha esorcizzato il proprio passato di angosce e di dolore con una nuova vita artistica, amato e osannato da tutti. Ma dice che non durerà per molto. Che una volta condotto al successo, gli angeli se lo porteranno per sempre con loro. Che ci crediate o meno.