In Europa si respira nuovamente aria di guerra. Non succedeva da anni. La situazione è molto più grave di quanto non si pensi, ma sembra che questo non meriti l’attenzione che dovrebbe.
In Europa la morte si presenta alle porte, con la tragedia di 7 migranti deceduti e 280 salvati in mare e sbarcati a Lampedusa. Una tragedia reiterata da molti anni, che non cambia di una virgola una situazione molto più grave di quanto non si pensi e che anche in questo caso non trova l’attenzione che dovrebbe.
In Europa c’è un Paese che si chiama Italia dove però l’attenzione massima è invece rivolta da tutt’altra parte: al desolante gioco delle parti che si sta consumando in Transatlantico, in quella pista da circo nella quale si è trasformato il luogo che per mandato istituzionale dovrebbe occuparsi di minacce di guerre, di naufraghi e naufragi, di equilibri internazionali e di squilibri nazionali. Cioè della vita reale e dei veri bisogni dei cittadini.
Del resto, “panem et circenses” era ciò che Giovenale aveva, secoli orsono, segnalato come vera attrazione per il popolo. Una regola che appare in tutto il suo fulgido splendore ancora oggi, se è vero che gli occhi di tutti sono rivolti alle luci del grande circo nel quale si aspetta che venga presentato un personaggio da applaudire.
È un quadro desolante quello che emerge già alle prime battute di questa tornata elettorale, nonostante l’importanza della posta in gioco. La politica dovrebbe mostrare il suo volto migliore, ora più che mai; dovrebbe lavorare ad un dibattito vero, ad accordi trasparenti e rispettosi. Gli interlocutori dovrebbero adoperarsi per l’identificazione vera di una figura-guida, di un punto di riferimento indiscutibile e sopra le parti. Ma per far questo dovrebbero resistere alla tentazione di cercare un tornaconto, un vantaggio di parte, una sponda su cui contare in futuro, una volta aperto il conto con la propria sete di potere. Non sembra che tutto questo stia accadendo ed anzi temo fortemente che questo non potrà mai accadere ed inizio ad avere una sincera idiosincrasia per tutte quelle voci, quei nomi in una giostra, quelle proposte opacizzate da interessi di parte, quei ricatti da “do ut des” in cui anche l’opinione pubblica, forse inconsapevolmente, è chiamata a fare il tifo.
“Panem et circenses”, appunto; l’attrazione del circo, che coinvolge clowns e spettatori nella celebrazione di un unico spettacolo scintillante. Lo spettacolo degli acrobati del compromesso, dei prestigiatori e dei pagliacci, che sta ipnotizzando tutti, facendo rimuovere pandemie e scenari di guerra, promettendo sorprese e colpi di scena. E la gente sta ad aspettare con il naso all’insù il volteggio di un acrobata o il lancio di una donna-cannone.
Sarebbe giusto restituire l’appuntamento istituzionale, che comunque dobbiamo onorare, alle sue origini naturali a quell’etica del bene, comune troppe volte richiamata a vuoto, proprio perché è adesso che dovrebbe esprimere il punto massimo.
È per questo motivo che credo indispensabile e persino scontato richiamare chi, fino a questo momento, ha garantito la sobria autorevolezza di una guida sicura e affidabile. Il Presidente Sergio Mattarella potrebbe, ancora per poco, consentirci di smontare un circo ed edificare un tavolo di confronto serio, responsabile, avvezzo alla costruzione, illuminato dalla partecipazione dei giusti. Potrebbe farlo riottoso, malvolentieri e tra molti mugugni. Ma lo farebbe, eccome, dando un’ennesima prova di autorevolezza. Quella di cui c’è bisogno da noi, in Italia, Paese d’Europa, schiacciato tra fronti di guerra e fronti di sbarco, impaurito ancora da venti pandemici. E avvelenato da un circo fuori luogo, fuori tempo. Fuori logica.