Un governo lento e confuso

Il capogruppo del Pd all'Assemblea regionale siciliana, Giuseppe Lupo, esalta la nuova stagione del suo partito

“La fase-2 richiede strategia, lucidità e velocità. Ma da parte del governo della Regione non vedo nessuno di questi tre elementi. Sono preoccupato”. Giuseppe Lupo, capogruppo del Partito Democratico all’Assemblea regionale, in queste settimane non si è limitato alla polemica. Di fronte all’emergenza Coronavirus, “il compito delle opposizioni è fare proposte. Molte di quelle del Pd sono state accolte, anche se tardivamente”.  Si riferisce alla somministrazione dei test sierologici per alcune fette della popolazione: “Un mese fa, quando abbiamo lanciato l’idea sulla scorta di ciò che stava avvenendo in Toscana, il governo si è persino irritato. Forse pensavano si trattasse di una proposta “rossa”, ma già allora si basava su presupposti scientifici”. I test sierologici, attraverso la rilevazione degli anticorpi, consentono di individuare gli asintomatici e di conoscere l’eventuale storia pregressa del virus all’interno di un organismo.

Con l’emergenza sanitaria ai titoli di coda, comunque, è necessario concentrarsi sul “dopo”. In primis sul destino di imprese e lavoratori: “Visto che al Nord la macchina produttiva ha rallentato – esordisce Lupo – per la Sicilia questa fase potrebbe essere l’occasione di recuperare competitività. Siamo una delle regioni più grandi d’Italia con il minor numero di malati. Una terra in cui si possono fare investimenti e lavorare in sicurezza, certamente più che a Bergamo. Bisogna bruciare i tempi e riaprire le aziende, mettendo al primo posto il rispetto dei protocolli di prevenzione sanitaria. Non è detto che per rilanciare l’economia ci vogliano dieci anni: potrebbero bastarne due o tre”.

Cosa occorre?

“Il governo regionale non ha un piano. Non basta dire alle attività produttive di riaprire perché tutto si rimetta in moto magicamente. La previsione che il picco si potesse raggiungere fra il 10 e il 15 aprile era corretta, ma bisognava già prepararsi a una fase-2. Invece continuo a vedere comportamenti senza senso: da un lato si chiede a Roma di accelerare l’apertura dei grandi cantieri, dall’altro si continua a proibire la consegna dei pasti a domicilio”.

Le misure per la fase-2 sono contemplate nella Finanziaria che ha iniziato il suo percorso all’Ars?

“La Finanziaria è una manovra d’emergenza e affronta solo alcune misure, come quella per garantire un minimo di liquidità al sistema delle piccole e medie imprese. Oltre non va. Si tratta di un Bilancio e di una Legge di Stabilità scheletrici che non riusciranno a far fronte alla crisi, ma solo a tamponare alcuni effetti. Serve, piuttosto, un grande piano strategico per lo sviluppo e la ripresa produttiva, che scorra in parallelo alla Finanziaria e punti necessariamente su risorse extraregionali”.

La parola d’ordine è fondi europei.

“Il Bilancio 2020 avrà una diminuzione delle entrate spaventosa, a causa della riduzione del gettito fiscale. Dobbiamo fare leva sui fondi comunitari, extra Bilancio, per rilanciare lo sviluppo. Non so se il governo accetterà la proposta di un confronto parlamentare su questo tema. Se si chiuderà nel fortino, pensando di poterli gestire in autonomia, si sbaglierà; se accetterà la proposta del confronto democratico e aperto con le altre forze parlamentari, sarà diverso. Uno dei grandi errori del governo Musumeci è non dialogare con le opposizioni e, soprattutto, di sottovalutare il confronto con le parti sociali: sia con le categorie produttive che con le organizzazioni sindacali dei lavoratori”.

La Legge di Stabilità poggia sulla riprogrammazione di fondi europei e nazionali.

“Nella Legge di Stabilità si può tener conto di utilizzare i fondi rimodulati, attenendosi alle regole di Roma e Bruxelles. Il Bilancio, invece, punta sulle risorse effettivamente a disposizione. Abbiamo chiesto a Musumeci di ritirare la prima versione perché non veritiera. Prevedeva delle somme che il governo sperava di ottenere dallo Stato (il contributo da un miliardo alla finanza pubblica, ndr): così, eravamo di fronte a entrate incerte e spese certe. La legislazione contabile e la Costituzione non lo permettono. Si sarebbe creato un buco spaventoso. Abbiamo contestato quell’impostazione e diamo atto al governo di averci ripensato”.

La Regione ha stanziato 100 milioni per l’assistenza alimentare, ma ha provveduto a erogarne solo 30 ai comuni. La burocrazia, però, complica tutto. Che succede?

“Molti sindaci hanno difficoltà ad attuare le procedure necessarie alla rendicontazione. Poiché è importante metterli nelle condizioni di spendere questi fondi, abbiamo chiesto al presidente della Regione di istituire una task force che possa offrire assistenza tecnica a chi ne fa richiesta. Dei 390 comuni siciliani, solo 140 hanno chiesto di accedere al plafond. Se la stragrande maggioranza rinuncia, vuol dire che qualcosa non funziona e la Regione ha il dovere di intervenire”.

I Comuni sembrano gli enti maggiormente penalizzati da questa emergenza. E’ così?

“Giovedì ho chiesto al governo Musumeci di trasferire ai Comuni i cento milioni che gli spettano per il primo quadrimestre 2020, così come già previsto dall’esercizio provvisorio di Bilancio, utilizzando le risorse disponibili del Fondo per le autonomie locali (300 milioni l’anno). Si aggiungerebbero ai cento dell’assistenza alimentare. In questa fase, sindaci, amministratori locali e cittadini sono in forte sofferenza. Gli unici soldi che hanno ricevuto per tempo sono i 43,5 milioni che il governo Conte ha trasferito nel giro di ventiquattr’ore e utili all’acquisto dei buoni spesa”.

Sull’emergenza il governo ha raccolto la vostra proposta sui test sierologici. Soddisfatti?

“Per le verità abbiamo fatto innumerevoli proposte. Pensi ai Covid Hospital: siamo stati i primi a parlare della necessità di aprire delle strutture dedicate, perché la promiscuità era alla base dei contagi. Tuttavia, abbiamo subito contestato l’idea di aprire reparti Covid nelle strutture ospedaliere che non avessero spazi indipendenti, come al “Giglio” di Cefalù. Avrebbero messo a rischio interi nosocomi”.

In molti dimenticano di segnalarlo: ma le altre malattie non si fermano di fronte al virus.

“Ieri ho chiesto all’assessore Razza di verificare il tasso di mortalità fra gli infartuati. A me risulta in crescita. Questo è determinato dal ritardo nei soccorsi e dal fatto che molti hanno paura di recarsi negli ospedali che possono essere fonte di contagio. All’inizio dell’emergenza, inoltre, avevamo chiesto al governo di coinvolgere i medici di medicina generale, i cosiddetti medici di famiglia, per non contare solo sulla forza degli ospedali. In quel caso ha sbagliato a non darci ascolto”.

Quali altre misure portano la firma del Partito Democratico?

“La quarantena centralizzata. Quando era chiaro che ci sarebbe stato un controesodo dalle regioni del Nord, non si poteva pensare di abbandonare i nostri conterranei sulla linea ferrata di Villa San Giovanni. Così, per evitare la quarantena domiciliare – che in molti casi, specie al Nord, si è rivelata fonte di contagio – abbiamo evidenziato la necessità di una quarantena medicalmente assistita, e il governo ha predisposto alcuni hotel, come a Messina, Palermo o Pozzallo, dove erano rientrati numerosi siciliani impegnati a Malta per lavoro”.

E poi finalmente i test sierologici.

“Mappare la popolazione e capire quanti avessero gli anticorpi, era importante per definire il trend della curva epidemiologica. Ci si è arrivati con un mese di ritardo. Questi test andrebbero messi a disposizione di tutti coloro che effettuano un prelievo del sangue e in laboratorio, previo consenso. Abbiamo sollecitato il governo anche sui tamponi a tappeto, sulla possibilità di accreditare altri laboratori, oltre a quelli del Policlinico di Palermo e del Policlinico di Catania, per esaminare i test. E devo dire che un po’ per volta sono stati attivati altri laboratori. A un certo punto della pandemia, la percentuale dei contagi era il 10-11% dei “tamponati”. Ciò significava che su 1000 tamponi in attesa, ce n’erano 100 positivi. Potenzialmente in grado di trasmettere il contagio”.

Quanto tempo servirà alla Sicilia per ripartire?

“La domanda bisognerebbe porla al governo: la Regione è in grado di accettare la sfida competitiva della fase-2? E’ una partita che si giocherà sul mercato mondiale. Vince chi è in grado di ripartire e di farlo in sicurezza”.

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