Un governo in crisi di nervi

Il governatore Nello Musumeci sta provando a trovare alleati per garantirsi la seconda elezione a palazzo d'Orleans

Senza scomodare illustri pareri psichiatrici, o riferimenti storici arditi, sembra che Nello Musumeci – metaforicamente parlando – sia vittima della sindrome dell’accerchiamento. In sostanza, il presidente della Regione vede nemici ovunque. Nel corso dell’ultima riunione di giunta (l’episodio, riportato da ‘La Sicilia’, non è stato mai smentito), avrebbe dubitato persino di Toto Cordaro, fedelissimo assessore al Territorio e Ambiente, e fondamentale nella sua funzione di raccordo col parlamento siciliano. L’esponente del Cantiere Popolare, iscritto di lungo corso (anche qui metaforicamente) al partito del presidente, è reo, secondo Musumeci, di non averlo informato per tempo sulla mancanza di risorse per far partire la campagna anti-incendio. Al di là del singolo episodio su cui l’Ars dovrà mettere una pezza scucendo dal Bilancio una settantina di milioni, la situazione merita un’analisi approfondita. E va riportata a galla nell’ambito di un ragionamento che si sviluppa su un orizzonte chiaro (le prossime Regionali) e include quasi tutti i partiti della coalizione.

E’ parere di molti addetti ai lavori che il ritorno di Ruggero Razza, oltre a dirimere le questioni interne alla Sanità, serva a Musumeci per rilanciare la propria immagine in vista dell’annuncio più importante: la ricandidatura a palazzo d’Orleans. Un processo ardimentoso, ma ancora acerbo, che il presidente avrebbe voluto ufficializzare l’11 e 12 giugno a Palermo, durante una kermesse ‘governativa’ (poi cancellata). Ma tutti (o quasi) i compagni di viaggio hanno messo Musumeci di fronte a una triste realtà: questo non è il momento degli annunci. Anche perché sull’ipotesi della “naturale prosecuzione” dell’esperienza di governo, come è stata prospettata da alcuni assessori, non c’è alcuna quadra. Nessuno dei partiti, dalla Lega a Fratelli d’Italia a Forza Italia, ha firmato cambiali in bianco. Lo ripetiamo, al netto di alcuni assessori, che provano disperatamente a salvare se stessi.

Cordaro, negli ultimi tempi, ha intrapreso un dialogo con tutte le forze centriste (in tandem con Saverio Romano, e in rappresentanza del Cantiere Popolare) per creare un grande partito federato in grado di competere alle Amministrative di Palermo e alle prossime Politiche. Un tentativo sancito dal “patto dei paccheri” (da cui, però, è stato escluso Totò Cuffaro) ma soprattutto dalla sottoscrizione della ‘Carta dei Valori’, che tra le firme eccellenti vanta quella di Mimmo Turano, assessore in quota Udc, Roberto Lagalla, di Idea Sicilia (e possibile candidato, a Palermo, per il dopo Orlando), e appunto, Toto Cordaro. Musumeci, non bastasse l’arci-nemico Micciché, si è convinto che persino i centristi – al grande contenitore partecipa pure Italia Viva – abbiano intenzione di fargli le scarpe.

Così ha utilizzato il pretesto della campagna anti-incendio per aprire il fuoco contro Cordaro, anch’egli assimilato alla schiera dei “centristi che remano contro di me”. “Cosa volete fare?” ha rilanciato il governatore nel corso di una giunta sui generis. “Non sono anch’io un moderato?”. L’attenzione, in men che non si dica, è passata dalla sventura degli incendi alla ricandidatura del prossimo autunno, cioè l’unico argomento che – al netto dell’emergenza sanitaria, domata da Razza – sembra interessare il presidente della Regione. Che pubblicamente si ritrae (“Ai siciliani non interessa”) ma privatamente ci dà dentro, come confermano molti dei suoi alleati in forma anonima.

La questione però non passa soltanto da Palermo: l’attuale fase storica, coi tentativi di federazione già avviati fra Salvini e Berlusconi, sottintende la presenza di un mondo centrista che non rimarrà a guardare (pena l’irrilevanza elettorale). I cespuglietti rappresentati dai vari Cesa, Lupi, Rotondi, Tabacci, Toti eccetera eccetera, sono alla ricerca di una dimora più o meno fissa (la grande casa con la Lega? Un nuovo modello di Casa delle Libertà?) che finirà con l’influenzare scelte e decisioni dei rispettivi referenti sui territori. E non c’è nulla che Musumeci – l’unico ad essere rimasto fuori dalla partita – possa fare per disarcionare le reunion del grande (o piccolo) centro, che dir si voglia.

Eppure, sembra che tornare a palazzo d’Orleans, senza – fra l’altro – poter giudicare il lavoro di tutto un mandato – sia una questione di vita o di morte. Di dentro o fuori. “Fuori”: è questa la parolina magica che già da qualche settimana aleggia nelle stanze del governo. “Chi non ci sta, vada fuori”. Un concetto ribadito da Musumeci ai suoi assessori, in parte raccolto, ma anche a mezzo stampa, un mesetto fa: “Da sempre un presidente di Regione uscente va naturalmente verso la ricandidatura – disse a Live Sicilia -. Se tutte le forze politiche rimangono saldamente al governo nello spirito di squadra come è stato in questi tre anni e mezzo vuol dire che tutti concordano sulla naturale candidatura. Se qualcuno avesse avuto dei dubbi si sarebbe già tirato fuori dal governo”. Secondo quale regola, verrebbe da chiedergli? L’attuale mandato ha una data d’inizio (novembre 2017) e una di fine (autunno 2022). La scrematura dei partiti non può (non dovrebbe) avvenire sulla base dei desiderata del capo della coalizione, il cui accordo con gli alleati dura cinque anni. E non dieci.

Questa considerazione non è bastata a Musumeci per alleggerire il forcing. Ma è servito ad alcuni assessori per venire allo scoperto. I primi sono stati i forzisti Armao e Falcone. L’ultimo, invece, è Manlio Messina. La sua intervista a Live Sicilia ha innervosito i vertici di Fratelli d’Italia e creato parecchi dissapori (che potrebbero sfociare in una presa di distanza ufficiale): “Sostituire Musumeci come candidato del centrodestra – ha detto l’assessore al Turismo – significherebbe ammettere il fallimento di tutto il centrodestra. Vogliamo che succeda questo? Chi lo pensa dovrebbe andare via subito. Se ci sono forza politiche che ancora non sono convinte di voler correre di nuovo con Musumeci, dovrebbero avere la correttezza di lasciare subito gli incarichi e le poltrone che occupano…”. Tra le forze politiche “che ancora non sono convinte” – Messina certamente lo saprà – c’è anche Fratelli d’Italia. Che però, ufficialmente, non prende posizione nei confronti del governatore: né a favore né contro. Ribadire, come ha fatto l’assessore, che “noi di Fratelli d’Italia siamo da sempre fedeli alleati di Musumeci”, se da un lato rappresenta una verità inoppugnabile, dall’altro somiglia a una “promessa” che nessuno, in FdI, può fare. Tanto meno adesso. Quella di Messina, quindi, verrà derubricata come una posizione del tutto personale.

L’ultimo tentativo di Musumeci è stato un fitto dialogo con l’assessore alla Famiglia, Antonio Scavone, storico braccio destro di Raffaele Lombardo. L’incontro, confermato da più parti, era un tentativo per ricucire il rapporto sfregiato (un altro!) fra il governatore e gli Autonomisti, oggi rappresentati da Roberto Di Mauro. Ma anche un sondaggio per capire quante chance abbia Diventerà Bellissima di aggregarsi alla federazione che l’ex Mpa ha messo in piedi con la Lega di Minardo (e di Salvini). Poche, pochissime. La decisione toccherebbe a entrambi i movimenti. Ma il Carroccio assiste con curiosità, e nessun clamore, allo show del presidente per riaffermare se stesso. E’ ben consapevole – specie dopo che verrà ufficializzata la candidatura del forzista Mario Occhiuto in Calabria – di avere tutte le carte in regola per esprimere il prossimo presidente della Regione siciliana. Non ha alcuna voglia di scottarsi, abbracciando una causa già persa. E’ allergico alle fughe in avanti, e registra i propri movimenti e le proprie adesioni con cura maniacale. Una precisa strategia che darà i suoi frutti a pochi chilometri dal traguardo. E non un anno e mezzo prima.

N.B.: Viste le vivaci rimostranze dell’on. Toto Cordaro, attendiamo di leggere la sua categorica smentita a ‘La Sicilia’ di Catania (P.M.)

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