Un governo azzoppato

L'assessore alla Salute, Ruggero Razza, e il presidente Nello Musumeci, hanno fatto squadra dall'inizio della legislatura

Presidente della Regione, commissario straordinario per l’emergenza Covid e, da ieri, “supplente” dell’assessore alla Salute. Aumentano le responsabilità e anche i rischi. Ma Nello Musumeci, messo nei guai dall’indagine giudiziaria a carico di Ruggero Razza (da cui è estraneo, secondo il gip), non è riuscito a trovare altre soluzioni se non quella di rivolgersi all’uomo di cui si fida di più in assoluto: se stesso. Così ha tenuto l’interim alla Salute “finché riterrò opportuno e necessario farlo”. Toccherà al colonnello Nello, nel solco del “dovere istituzionale” citato durante il breve discorso all’Ars, ricostruire l’immagine della Sicilia dopo questa magagna inattesa (ma neanche tanto), e tirarla fuori dalle secche della pandemia. Oltre ai morti di Covid e ai vaccini da organizzare, ci sono tantissime imprese alla canna del gas. C’è un contraccolpo sociale ancora sottostimato. Questioni su cui, per il momento, si preferisce glissare.

Musumeci, che si era affidato ai suoi generali – Armao sul fronte dell’economia, Razza su quello della Salute – si ritrova improvvisamente da solo a gestire il peso di un’emergenza epocale che si è abbattuta (anche) sul suo governo. La domanda è cosa farà adesso. Se ha un piano per tirarsi fuori dai guai. Per ridare credibilità alle istituzioni “saccheggiate” dall’intervento della magistratura, dalle intercettazioni sui giornali, dal numero dei decessi. Trovare un equilibrio non è facile. Musumeci, però, ha deciso di farlo in autonomia dato che i suoi collaboratori più fedeli lo hanno abbandonato lungo il tragitto: il passo indietro di Razza, che il governatore ha accolto con un plauso e con profondo rispetto personale oltre che istituzionale, è la prima sciagura a cui porre rimedio.

Ma non si tratta semplicemente di indicare un altro nome: va ricostruito il dipartimento rimasto acefalo dopo l’arresto della dirigente, Maria Letizia Di Liberti. Una di quelle che ha messo le mani in pasta per cercare di contrastare la diffusione dell’epidemia, con un’azione di coordinamento che l’ha vista impegnata in prima linea con gli ospedali e le aziende sanitarie. E che poi – carte alla mano – si è catapultata in un “giochino” più grande di lei, di tutti loro. Bisognerà ricostruire il tessuto con i funzionari (in)fedeli, che nello scandalo segnalato dalla procura di Trapani, hanno avuto un ruolo dirimente. E se è vero, come dice Musumeci, che “il governo non defletterà di un centimetro” e che “andremo avanti dritti senza un secondo di tregua”, è altrettanto logico che le funzioni burocratiche e quelle di indirizzo politico vanno saldate (seguendo i canali ufficiali, però). Il presidente, già assorbito da mille cose, avrà il tempo per assolvere a questa funzione?

Musumeci è già stato un governatore multitasking. Ha retto per oltre un anno l’interim ai Beni culturali, dalla morte di Sebastiano Tusa alla nomina di Alberto Samonà. Ma in quel lasso di tempo il dipartimento era retto da un dirigente di carisma come Sergio Alessandro, che è riuscito a tenere insieme i pezzi. Solo così il presidente è riuscito a sfuggire alla sua mole d’impegni – vuoi mettere le numerose audizioni organizzate in V commissione? – senza dover pagare pegno. Con la sanità, fra l’altro nel mezzo di una pandemia, non sarà così semplice. E’ una partita che in Sicilia vale 9 miliardi, e attorno ad essa s’intrecciano gli interessi più torbidi (come evidenziato, di recente, da una relazione della Corte dei Conti e da un’inchiesta romana sugli appalti a una società “truffaldina”). Anche se, optando per se stesso, Musumeci si è semplificato la vita, evitando l’ingerenza dei partiti e allontanando il rischio di commettere altri errori. Non è un mistero, comunque, che alla luce degli ultimi accadimenti tutti guardano con curiosità alle mosse e alle scelte del governatore, che in questa speciale disciplina non si è rivelato infallibile.

Oddio, Razza ha rappresentato il perfetto alter ego, per estrapolazione sociale e modo di pensare. Uno con cui è stato facile e fin troppo ovvio entrare in sintonia. L’altro, Armao, è stato un esperimento più erudito di convivenza, dopo il rischio di ritrovarsi contrapposti alla vigilia delle Regionali. Così si è scelta la soluzione più saggi per evitare di dividere il centrodestra: vada per il ticket. L’esperienza economica dell’avvocato amministrativista, che Musumeci ha assunto come spirito-guida in materia contabile, ha portato più volte la Regione a sbattere: ne è prova il fatto che a fine marzo non è ancora quagliata la Legge Finanziaria 2021, e non è ancora chiaro a quale destino la Sicilia andrà incontro nei prossimi mesi. Anche l’anno scorso la Legge di Stabilità, impiattata a maggio, fra mille peripezie e coperture incerte, si è rivelato uno strumento inaffidabile e inattuabile. Fumo degli occhi di cinque milioni di persone che – al netto di poche e consolidate clientele – hanno smesso di guardare alla Regione con quel pizzico di speranza che rende migliore l’esistenza.

Oggi, al di là del tentativo di uscire indenni della bufera, di salvare la faccia, di spiegare che tutto è stato fatto a regola d’arte, anticipando persino le decisioni del legislatore nazionale, bisognerebbe interrogarsi sulla funzione stessa della politica. A cosa serva, ma soprattutto a chi si rivolga. Provare a restituire legittimità a un mondo che viene recepito con disprezzo, indipendentemente dagli interpreti. Sarebbe ingiusto chiedere a Musumeci di occuparsi anche di questo. L’esperienza del governatore, travolta dall’indagine di Trapani, scorre bruscamente verso i titoli di coda. A lui e a chi verrà dopo di lui resta il compito di guardarsi dentro e, per una volta, farsi due domande. Ad esempio: siamo così certi che in Sicilia, a sbagliare, sia sempre qualcun altro? O un’ammissione di responsabilità, anche nelle scelte politiche e di governo, potrebbe regalare a quest’isola un’altra prospettiva?

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