I primi interventi finanziati da Palazzo Chigi con la dichiarazione dello stato nazionale d’emergenza, per venti milioni, hanno “evitato il peggio”. Parola del capo regionale della Protezione civile, Salvo Cocina, che al Giornale di Sicilia ha rassicurato sul completamento della fase “A” del piano contro la siccità, che avrebbe permesso “l’erogazione di mille litri d’acqua in più al secondo nei territori, ridando vita a centinaia di impianti guasti o sorgenti abbandonate e recuperando perdite che hanno mitigato la crisi in atto”. Eppure, mercoledì mattina sotto le finestre di Palazzo d’Orleans, a Palermo, è prevista una manifestazione di protesta da parte dei cittadini delle tre province più colpite: Agrigento, Caltanissetta ed Enna. La contestazione riguarda la carenza di interventi per prevenire una crisi che già da un paio d’anni minaccia la Sicilia. Nessuno ha mosso un dito finché, la primavera scorsa, la situazione è esplosa in tutta la sua gravità.
Gli invasi sono al minimo storico: l’Ancipa, che serve la zona del Nisseno, ne avrà per altri dieci giorni: a quel punto i comuni di Caltanissetta, Enna e San Cataldo dovranno approvvigionarsi in altro modo, cioè facendo ricorso alle autobotti. Anche perché i pozzi di cui parla Cocina – quelli vecchi sono stati riattivati, altri sarebbero stati scavati nel frattempo – non possono provvedere da soli al fabbisogno di intere popolazioni, nelle cui case l’acqua continua ad arrivare una volta a settimana. Bisognerà ricorrere anche ai silos che la Regione ha trasferito nelle piazze dei paesi, da cui le famiglie (presentando documento o tessera elettorale) potranno prelevare fino a un massimo di cento litri. I siciliani si ritroveranno a fare la fila coi bidoni – un’immagine di sessant’anni fa – eppure per la politica va tutto bene. L’emergenza idrica è stata declassata in fondo all’agenda di governo, nonostante lo stesso Cocina, su Livesicilia, fa filtrare altre preoccupazioni: “Senza nuove precipitazioni significative scatteranno nuovi razionamenti”.
Non è solo l’Ancipa – dove sono stati “cacciati” persino i pesci per attingere alla risorsa idrica – a tenere col fiato sospeso. Anche le dighe del Palermitano destano preoccupazione. Come rilevato recentemente dall’Autorità di Bacino infatti, i bacini Poma e Rosamarina potrebbero esaurirsi entro la prossima primavera e il comune capoluogo, che da ottobre è già sottoposto a un piano di razionamento idrico da parte dell’Amap, potrebbe subire nuove restrizioni. Non va meglio alla diga Castello, che rifornisce 14 comuni dell’Agrigentino: l’auspicio è superare la barriera del 5 dicembre. “L’osservatorio regionale ha certificato che la diga di Ancipa sarà vuota a metà mese e che altri otto laghi artificiali saranno a secco tra novembre e marzo – ha detto il capogruppo di Italia Viva alla Camera dei Deputati, Davide Faraone -. Per l’incapacità di chi ci governa molti cittadini siciliani dovranno riempire i bidoni dai silos messi nei quartieri delle città e caricarseli negli appartamenti. Altri saranno riforniti con le autobotti con un vergognoso business pagato coi soldi dei siciliani e che dovrebbe essere fatto pagare di tasca propria al Presidente Schifani e ai suoi accoliti, tanto bravi a raccogliere preferenze dalle clientele, tanto scarsi a governare”.
Il 15 novembre, come riferito dallo stesso Faraone, verranno chiusi i rubinetti delle erogazioni dalla diga Ancipa per Caltanissetta, San Cataldo, Serradifalco, Mazzarino ed Enna. “Questi comuni stanno già subendo incivili turnazioni nonostante esistano alternative che prevedono l’attivazione di vecchi pozzi e la trivellazione di nuovi e si spera anche diverse connessioni ad altre fonti idriche. Guai più grandi sono previsti per Troina, Nicosia, Cerami, Sperlinga e Gagliano, che dipendono totalmente da Ancipa e che senza l’invaso non hanno fonti alternative. Qui il piano straordinario della Protezione civile prevede le autobotti dal momento in cui l’ultima acqua sarà prelevata dall’invaso”.
Per problematiche di questo tipo – che forse richiederebbero una protesta di piazza massiccia, sul modello Forconi – l’Ars dovrebbe riunirsi in seduta costante, allo scopo di individuare delle misure che possano lenire la sofferenza di famiglie, agricoltori e allevatori. E invece l’unico appuntamento politico degno di consistenza, previsto per questo pomeriggio a Palazzo d’Orleans, è un vertice di maggioranza per rinsaldare le fila della coalizione in vista dell’approvazione delle variazioni di bilancio (dove i soldi per fronteggiare la siccità restano sempre troppo pochi) e per stabilire i prossimi passi da compiere relativamente al Ddl che reintroduce il voto diretto nelle ex province (si cercano sponde romane). Il centrodestra ha appena rinviato le elezioni di secondo livello nonostante le precise indicazioni della Corte Costituzionale, che in due sentenze – a distanza di un anno – ha sancito l’illegittimità delle proroghe commissariali.
La politica non ha altre preoccupazioni rispetto alla conservazione di se stessa e dei propri privilegi, e mai come in questa fase emerge la distanza fra ciò che avviene dentro il palazzo e ciò che avviene fuori. Una dicotomia che lascia di stucco. Con le ex province potrebbero tornare agibili 338 poltrone – questi i calcoli secondo il disegno di legge approvato in commissione Affari istituzionali all’Ars – anche se bisogna trovare la copertura finanziaria in commissione Bilancio (si parla di una ventina di milioni). Ci sarebbero tutti gli elementi per posticipare la questione, e riproporla nei tempi più opportuni. Invece Schifani s’è invaghito della riforma, e qualche alleato più di lui: la ritengono imprescindibile per far proseguire l’azione del governo. Poi c’è la vicenda del caro-voli, che entra a pieno titolo nella manovra-quater in discussione questa settimana: servono 7 milioni per garantire gli sconti ai residenti per raggiungere l’Isola durante le festività natalizie. I prezzi, in questi giorni, fanno registrare le solite impennate, e non sarà certo il “rimborso” proposto dalla Regione – solo per un paio di compagnie gli sconti sono applicati in fase di prenotazione – a farci tornare la voglia di viaggiare.
Sempre nella manovrina si proporrà l’acquisto dell’ex palazzo Sicilcassa per 12,5 milioni di euro, l’applicazione degli oneri contrattuali ai regionali (per 20 milioni), il “prestito d’onore” per gli universitari che scelgono di studiare negli atenei siciliani e il “bonus fieno”, trascurando però una serie di interventi e/o misure che servirebbero come il pane. O come l’acqua. Ad esempio, il governo ha già desistito sui dissalatori: ha deciso di metterci una decina di milioni per farne uno temporaneo a Porto Empedocle, ma solo in un quadro più generale che prevede un corposo investimento da Roma (90 milioni già “calati” nell’Accordo di coesione). Eppure tutti sanno che i tre dissalatori dell’Isola, da circa dieci anni, sono un ammasso di ferraglie non funzionanti, e che rimetterli in funzione è tutto fuorché una formalità. Così come la riparazione delle condutture idriche, che, nonostante i micro investimenti previsti per le province di Agrigento e Caltanissetta, sono un’operazione estemporanea che si sarebbe potuta evitare con la manutenzione negli anni.
Eppure, ognuno ha giocato col proprio giocattolo e continua a farlo. Il governo perché ha altre priorità; De Luca coi suoi propositi di aderire alla maggioranza solo perché si è stancato di perdere; il Pd e i Cinque Stelle perché attendono che i problemi si manifestino prima di sparare a zero sui responsabili, salvo darsi una regolata per ottenere -poi- qualche mancia in Finanziaria. Non c’è un disegno, non c’è una visione, ma non c’è neppure un piano di emergenza che poggi su fondamenta solide. Anche contro la siccità si è deciso di agire alla giornata. E’ il marchio distintivo di questo governicchio: che non fa nulla di ordinario, figurarsi di straordinario.