La tavola è apparecchiata, i commensali sono pronti, il servizio è quello delle grandi occasioni. Sabato e domenica, al Domina Zagarella di Santa Flavia, si terrà finalmente il grande appuntamento di Forza Italia, organizzato dai gruppi di Camera e Senato. Ma per evitare il primo inciampo, gli organizzatori hanno tenuto a precisare che i lavori saranno chiusi dal re e dal vicerè: Antonio Tajani e Renato Schifani. Il primo, tra l’altro, al corrente (e complice?) della federazione tra Raffaele Lombardo, Gianfranco Micciché e Roberto Lagalla, tre dei rivali più ostici del governatore. Lo chiamano il fronte anti-Schifani, ma da Palazzo d’Orleans sostengono che sia tutta una montatura (di “certa stampa”).

Nel weekend prossimo venturo non ci sarà spazio per i calcoli politici, per i rancori, per gli animi bollenti, per la conta interna. Sarà celebrata la comunità azzurra e con essa la “politica dei sorrisi”, cui alludono certi giornali online. Saranno fiumi di borotalco e di belle parole; sarà la celebrazione di un partito che cresce senza Berlusconi, e che in Sicilia ha portato a casa il 23 per cento alle Europee. Inutile soffermarsi sul “come”, sono passati mesi e mai nessuno – a partire dalla frangia romana dei ribelli (i Mulè, i Calderone, etc) – sono riusciti ad avere un chiarimento riguardo la strategia, che per poco non condannava all’espatrio (politico) Caterina Chinnici. Ci ha pensato Tamajo a concederle il seggio. Non eleggerla sarebbe stata una “figuraccia di portata europea”, secondo Lombardo.

Lombardo, però, non è al centro di questo appuntamento. Nonostante l’affiliazione tra FI e il Movimento per l’Autonomia. Eppure si è mostrato alla foto di rito col governatore – dopo critiche puntute e umilianti per il suo interlocutore (sulla sanità, sull’Ast, sulla Sac di Catania, sugli enti locali) – perché fa parte del disegno: far credere che Schifani abbia il pieno controllo delle operazioni. Dentro e fuori dal suo partito. Ovunque ci si volti, si scrutano sudditi in subbuglio, che si esercitano per gli applausi. Le ovazioni, a Santa Flavia, saranno scontate e prolungate. Il terreno l’ha preparato il fido Marcello Caruso, che ha convocato non uno, non due, ma addirittura tre riunioni di coalizione per restituire all’opinione un senso di partecipazione e di gestione condivisa (e per niente feudale).

Dall’ultimo vertice, senza Schifani (ma il coordinatore regionale è diventato grande e può tenerli a bada da solo), sono emersi un percorso “condiviso e coeso” e una visione “unitaria e strategica”. Dai precedenti, invece, una “lealtà” di fondo all’azione del governo regionale. Belle parole che racchiudono uno strano apprezzamento per l’immobilismo: perché il governo continua a non fare quasi nulla sul fronte delle emergenze, delle riforme. Mentre l’Ars, a quanto pare, comincerà a prestare attenzione ai fenomeni temporaleschi per poi intervenire con “misure urgenti e straordinarie” non appena si presenterà l’occasione, fra una mancia e l’altra, in aula (il governo ha già stanziato 2 milioncini e 800 mila euro a valere sul Fondo di riserva).

Questo zelo, da parte del potere esecutivo e legislativo, non si vedeva da tempo. Non sembra neppure la Sicilia. Ma è il giusto messaggio da far passare in attesa del vicepremier Tajani, che è anche Ministro degli Esteri e segretario nazionale del partito. Lo stesso che pochi mesi fa, giocando di sponda col governatore della Calabria Occhiuto, precluse a Schifani la possibilità di diventare vicesegretario. E che lo ha strigliato per i numerosi tentativi di accreditare la classe dirigente del Sud, cioè se stesso, per le poltrone più ghiotte. Di recente, invece, lo ha soccorso di fronte al tentativo di Giorgio Mulè di far emergere le tensioni interne, che si trascinano da mesi. Ci sarebbe persino un documento per chiedere la revoca dell’incarico di Caruso, che non terrebbe in debita considerazione il bene del partito, ma solo del cerchio magico del governatore. E che non ha minimamente inciso nella scelta degli assessori – specie quello all’Economia, dopo i saluti di Falcone in direzione Bruxelles.

Forza Italia, infatti, è il gruppo parlamentare più numeroso all’Ars (14 deputati compreso il governatore) e un solo assessore: il potente (ma dimezzato) Edy Tamajo. Gli altri che fanno riferimento a Schifani, Volo e Dagnino, sono soltanto dei tecnici. Ma guai a dirlo. Non è il momento. E anche sulle altre questioni – dalla gestione della sanità alle nomine di sottogoverno passando per il riordino degli enti locali – è meglio tenere la bocca chiusa, o si aprirebbero delle falle enormi da colmare. Questa è una settimana da tarallucci e vino, in cui non esistono rancori ma complimenti; in cui Schifani, devoto a La Russa e schiacciato sui patrioti, si libera del fardello per tornare la stella polare di FI; in cui, tra gli azzurri, non ci sono “murati” né dissidenti, ma solo splendidi interpreti di meravigliosi successi (nelle urne e al governo della Regione).

Per Forza Italia non esistono contraddizioni. “Questi due anni – ha detto Caruso, a margine dell’iniziativa di FdI per i due anni del governo Meloni – hanno dimostrato l’importanza di una collaborazione istituzionale leale e sinergica, basata su valori condivisi, come unici metodi per unire forze e risorse, in alternativa alla cultura del “campo largo” fondata solo sull’odio per gli avversari politici”. Eppure Schifani ha concluso il proprio intervento, al Teatro Jolly, in un brusio di sottofondo che conferma la stima degli alleati nei suoi confronti. La lealtà verso il suo governo. La spinta per una seconda candidatura. Tutti segnali inequivocabili. Il centrodestra marcia compatto, al diavolo i detrattori. E certa stampa.