Facebook ha bloccato un mio amico, uno che normalmente scrive post puliti, non polemici, educati, spesso persino teneri. Ma questo, per quanto mi riguarda, è solo un dettaglio. Sono dell’idea che tutte le opinioni debbano avere spazio. Tutte. Se hai la forza di neutralizzarle con la forza dei tuoi argomenti lo fai, altrimenti le incassi e tiri avanti, senza rompere le scatole a chi la pensa diversamente da te.
Facebook invece ti blocca. Secondo un meccanismo che a me sembrò perverso ed inaccettabile quando venne adottato nei confronti di Trump, tra il plauso generalizzato di coloro che lo odiavano e che dicevano che nell’ambito di una piattaforma, chi ne è proprietario, può fare quello che vuole. Curioso argomento per una piattaforma in grado di influenzare miliardi di persone.
Bloccare una persona su un social oggi equivale a privarla del diritto di parlare, di relazionarsi, di socializzare. Significa espungerla dal contesto sociale.
Farlo poi con un click, con una semplice comunicazione, senza esplicitarne le ragioni, senza alcuna possibilità di difesa, senza possibilità di appellarsi, non so a voi, ma a me fa incazzare. Sei in balia di un qualcosa di indefinito, di chissà quale algoritmo. Un click e sparisci, sei al confino.
La democrazia nelle mani di un algoritmo, se non di un capriccio. Siamo messi male, ragazzi. E tutti noi, io per primo, ne siamo complici. Per qualche cazzo di like. Qualcuno dei grandi dittatori della Storia, osservando tutto questo, mi auguro dall’inferno, si starà dicendo “Però!”