Il governo Schifani ha avuto un grande merito: evitare alle opposizioni la fatica dell’aula, dei dibattiti, delle proposte di legge. A Palazzo dei Normanni non si riesce neppure a calendarizzare una discussione sulle tragiche morti di Casteldaccia (l’appello è del Pd), dove cinque operai hanno perso la vita sul lavoro. Ogni incontro diventa occasione di dibattito sterile, fino al prossimo rinvio. E in questa scenetta che si ripeterà almeno fino alle elezioni europee (con l’estate che bussa alle porte), né il Partito Democratico, tanto meno il Movimento 5 Stelle, riescono a lasciare traccia con una battaglia degna di questo nome. Dicasi lo stesso per Cateno De Luca: ieri è stato dimesso dal Policlinico di Messina dopo alcuni giorni di ricovero a seguito di una polmonite acuta, ma Sud chiama Nord è un’esperienza che gli sta sgretolando fra le mani. Per ammissione del suo stesso leader: “Tanti miei collaboratori e rappresentanti nelle istituzioni si sono dimenticati da dove siamo partiti e cosa facevano prima di conoscere Cateno De Luca, diciamo che si sono adagiati ed imborghesiti”.
De Luca, immerso nel clima di una campagna elettorale perenne, ha perso il controllo delle cose e degli eventi. E si è perso per strada un bel po’ di gente che, assieme a lui, era salita agli onori della ribalta, specie durante i tempi della sindacatura a Messina. La senatrice Dafne Musolino, peraltro candidata nelle liste di Forza Italia alle Europee del 2019, ha accettato le lusinghe di Matteo Renzi; Salvo Geraci, l’ex capogruppo all’Ars di Sicilia Vera, è passato alla Lega; Davide Vasta, eletto sotto le insegne di Scateno, è stato dichiarato “decaduto” a seguito di una sentenza di ineleggibilità e ha lasciato il proprio seggio a Giuffrida (che come primo atto ha dichiarato l’iscrizione al gruppo della Democrazia Cristiana); e, storia degli ultimi giorni, anche l’on. Alessandro De Leo è stato espulso dal gruppo per “un disinteresse manifesto verso le iniziative del partito e la nostra agenda politica”.
Il risultato di questa diaspora è che il gruppo parlamentare si è ristretto ad appena cinque deputati, tra i quali l’unico ad emergere, spesso con iniziative fra la popolarità e il populismo, è l’ex Iena Ismaele La Vardera. Ma per un leader carismatico che poteva contare su quasi mezzo milione di voti, e che aveva scelto deliberatamente di costituire due gruppi parlamentari – non solo Sud chiama Nord ma anche Sicilia Vera – non si tratta di un finale entusiasmante. Nonostante Scateno, nei ritagli di tempo fra l’impegno istituzionale da sindaco di Taormina e quello di pluricandidato (prima alle Suppletive e poi alle Europee), abbia quasi convinto gli altri gruppi di minoranza, all’Assemblea regionale, di consacrarlo come guida dell’opposizione e candidato alla presidenza per il 2027.
La realtà, però, impone un cambio di passo. Perché Sud chiama Nord si sta rivelando un tentativo di partito leaderistico un po’ sfilacciato, dove la base fatica a emergere e a dettare i tempi, specie in campagna elettorale. L’unico dato degno di nota è il milione raccolto da sponsor e privati durante una cena di gala all’hotel Diodoro di Taormina, a cui Scateno non ha potuto partecipare causa malattia. Però è capitato che di fronte all’assenza di De Luca, per pochi giorni, i soldati abbiano marcato visita: “Ho fatto sapere al coordinatore regionale di sud chiama nord Danilo Lo Giudice che non sono contento del suo operato e non condivido l’andamento della campagna elettorale ed il lassismo che ho registrato tra tante figure istituzionali che oggi esistono grazie all’azione di Cateno De Luca e di Sud chiama Nord – ha detto lo Scateno dimezzato e ammaccato -. Mi sono stancato di essere attorniato da amici ed amiche che ormai hanno assunto le sembianze dei parassiti che ti girano attorno quando tu sei presente ma quando giri le spalle si fanno i cazzi loro”. E poi giù l’affondo: “Non voglio più trovarmi in queste condizioni a causa di Satiri danzanti sul mio cadavere. Chi deve andare via da Sud chiama Nord vada via ora così potrà vendersi i propri voti al miglior offerente”.
In questo suo agitarsi a vuoto, De Luca sta spendendo tempo ed energie per una battaglia quasi impossibile: il listone “Libertà”, che comprende una ventina di sigle per lo più sconosciute, nei sondaggi si attesta a cavallo del 2 per cento (serve il 4 per superare lo sbarramento ed eleggere degli europarlamentari). E oltre a De Luca non gode di alcuna personalità riconoscibile che sia in grado di smuovere le folle. C’è il capitano Ultimo, eroe della legalità prestato alla politica; c’è qualche volto noto dei talk show come Mario Adinolfi; c’è qualche reduce del leghismo perso di Salvini (ma non Roberto Castelli, ex ministro della Giustizia, che ha voluto defilarsi in extremis); ex grillini come Laura Castelli, già viceministro all’Economia. Ci saranno pure venti liste, ma De Luca è rimasto pressoché solo a condurre una campagna dispendiosa e per niente semplice, il cui risvolto peggiore è stato l’aggravamento delle condizioni di salute e il ricovero a Messina. Riprenderà il tour in camper dopo aver seguito un periodo di cure domiciliari. “Chi ha ruoli istituzionali e non ha intenzione di mettersi la maglietta della Libertà e fare campagna elettorale – ha rimarcato – se ne vada via ora perché sono stufo degli scodinzolamenti e degli sculettamenti per mettersi in mostra mentre chi lavora nei sottoscala o dietro le quinte non viene valorizzato o, peggio ancora, mortificato e sbeffeggiato”.
Tornando sulle sponde siciliane, il pantano dell’Ars – ovviamente – non è solo colpa di De Luca, ma di una opposizione poco incline alla lotta. E di una maggioranza e di un governo che fin qui non hanno mantenuto una sola promessa e sono andati a sbattere sul muro di gomma eretto dal presidente dell’Assemblea, Gaetano Galvagno. Un politico che si farà, senz’altro. Ma fin qui un inquilino fin troppo tenero rispetto al lassismo legislativo che si respira da quelle parti. A varcare il portone di Sala d’Ercole non c’è una riforma degna di nota, ma solo sessioni finanziarie che, a causa di numerose imperfezioni tecniche, finiscono la loro corsa contro i dettami di Palazzo Chigi (o della Corte Costituzionale) o nel calderone delle marchette.
Questi tempi morti della campagna elettorale per Strasburgo, si sarebbero potuti impiegare diversamente: ad esempio per recepire la richiesta del M5s, che da Schifani pretende delucidazioni sugli sprechi e gli abusi di SeeSicily. “Comprendiamo – ha detto Antonio De Luca, capogruppo M5s all’Ars – che un argomento del genere possa essere indigesto alla destra e a Fratelli d’Italia in particolare, ma sulla gestione dei soldi pubblici va fatta chiarezza e va fatta subito. Sicuramente la vicenda va affrontata prima delle elezioni europee, un rinvio non sarebbe giustificabile visto che il calendario dell’Ars per i prossimi giorni è praticamente vuoto”. Ma anche il suo appello è caduto nel vuoto.