Il Bilancio della Regione fa acqua da tutte le parti e la data del 13 dicembre, giorno in cui la Corte dei Conti emetterà il giudizio di parifica sul consuntivo 2018, è come un bubbone pronto a esplodere. Le avvisaglie ci sono tutte e ci aggrovigliano in un mare di voci che i dipartimenti dell’assessorato all’Economia stanno provando a interpretare in queste ore. L’incertezza sui numeri – ed è questo il dato più significativo offerto qualche giorno fa durante la pre-adunanza pubblica dai magistrati contabili – è determinata dal fatto che “a più riprese questa sezione ha tentato di ottenere riscontro da parte amministrazione sulla quantificazione dei fondi regionali, non ottenendo alcuna risposta”. Delle correzioni estive annunciate dal presidente Musumeci e dal suo vice-governatore Armao, che ha portato a sospendere “in via prudenziale” tutte le leggi di spesa dell’Ars, non è rimasta traccia. Perché alla prova dei fatti i magistrati contabili hanno sbugiardato una volta di più l’operato del governo.
E hanno pure rivelato alcune inadempienze, come svelato dall’Ansa: per la Procura della Corte dei Conti, infatti, la Regione, nel 2018, avrebbe dovuto recuperare 1 miliardo e 103.965.000 di euro di disavanzo “ma purtroppo non risulta essere stato recuperato perché il risultato di gestione risulta negativo e pari a 1 miliardo 26.618.000”. “Su queste quote andrà ad applicarsi la regola del 118”, vale a dire il decreto legislativo sull’armonizzazione dei bilanci entrato in vigore nel 2015 e la cui errata interpretazione, da parte di Crocetta e dell’assessore dall’epoca Baccei, hanno determinato il passivo di circa 2 miliardi di cui la Regione prova faticosamente a liberarsi. Non c’è ancora riuscita in pieno. Una parte ha ottenuto di spalmarlo nei prossimi trent’anni, ma una quota considerevole – che si credeva prossima ai 700 milioni, ma adesso, secondo la Corte, ammonta a un miliardo – va “congelata” da qui a fine legislatura, e per buona parte anche nella prossima manovra, che già si annuncia lacrime e sangue e non vedrà la luce prima di febbraio.
Il disavanzo, in realtà, somiglia a un debito: ma i soldi di cui sopra non sono da restituire allo Stato. Però, non si possono spendere. Nell’ultima Legge di Stabilità 141 milioni erano stati accantonati all’uopo, salvo poi essere “liberati” dalla manovra correttiva del “collegato” (ma restano tuttora sub judice). Le correzioni richieste dai magistrati contabili – questo miliardo che balla – secondo “Repubblica” comporterà un nuovo buco di circa 250-300 milioni nel capitolo della spesa corrente. Ne è prova l’ammissione dal presidente della commissione Bilancio, Riccardo Savona, che ha confermato come “in questo scenario mi pare difficile dare copertura ad alcune spese che ci eravamo impegnati a onorare con l’assestamento”. Si parla di circa 17 milioni che sarebbero dovuti andare ai teatri (al “Bellini” di Catania i lavoratori sono con l’acqua alla gola). Ma anche nel 2020 i tagli potrebbero riguardare alcune categorie già “provate”, come trasporto pubblico, comuni, ex province e disabili. Uno stillicidio.
Anche l’assessore all’Economia Gaetano Armao, che nel frattempo Musumeci ha esonerato dall’ennesima “operazione verità” sui conti (affidata a una società esterna, la Kibernetes srl), in una nota stringata ha ammesso le difficoltà del momento: “Quella di oggi – diceva il vicegovernatore giovedì 5 novembre – è stata una udienza di pre-parifica che ha valenza istruttoria, nel corso della quale sono state acquisite da parte della Corte, in contraddittorio con la Regione ulteriori riscontri. Resta comunque il fatto che eventuali risultanze, pesante eredità del passato, verranno gestite con il minor impatto sul bilancio”. Ma che ci sarà un impatto è evidente. Come è altrettanto evidente che non sarà questa mancata ammissione di responsabilità – e i continui riferimenti a Crocetta e ai predecessori – a decretare la rinascita dei conti siciliani. E purtroppo non sarà nemmeno il tour de force di Natale, quando bisognerà approvare il bilancio parificato, e poi procedere con l’assestamento e le variazioni, a far respirare le casse ormai terremotate di palazzo d’Orleans.
Secondo la Corte dei Conti – che ha tirato fuori altri numeri – il saldo di cassa, considerando vecchi debiti di tesoreria, sarebbe negativo per 110 milioni. Mentre a fine 2018 Armao diceva di poter contare su 314 milioni. E ancora, i magistrati hanno spiegato che i fondi vincolati dell’Ente ammontano a 3 miliardi: soldi che non si possono spendere, ma che debbono essere usati a garanzia del disavanzo, la nostra “ghigliottina”. A tal proposito suonano quasi beffarde le parole di Maria Rachele Aronica, il procuratore della Corte dei Conti, in sede di pre-parifica: “C’è da recuperare parecchio disavanzo, una buona parte secondo me già va recuperata sul bilancio di quest’anno. Spero che la Regione non ne produca di altri”. Mai dire mai.
Da venerdì prossimo, oltre a discutere di soldi e di debiti, tornerà d’attualità anche la questione politica. Come ha detto il ragioniere generale Giovanni Bologna, “sono convinto che una amministrazione debba avere sotto controllo tutte le voci che la riguardano per evitare che poi la mancata conoscenza esatta dei vincoli di cassa possa comportare una richiesta di restituzione di somme. E’ un punto che certamente sarà all’attenzione della ragioneria e di tutta la Regione”. Al di là dell’aspetto tecnico della vicenda, sembra chiaro l’invito a darsi una direzione. Cosa che in questi mesi non è avvenuta.
I viaggi di Armao, impegnato a trattare con il governo nazionale e con l’ex ministro delle Finanze Giovanni Tria per una dilazione del disavanzo, sono andati a vuoto. Aver tenuto per sé e per il governo il carteggio estivo con la Corte dei Conti, in base al quale è stato necessario riscrivere il rendiconto, ha mandato su tutte le furie il presidente dell’assemblea regionale, che non è stata mai coinvolta (fino al suggerimento di stoppare la spesa). Non aver fornito ulteriori riscontri sulla quantificazione dei fondi regionali, è un altro “peccatuccio” che difficilmente gli verrà perdonato.
Miccichè, che oltre a essere presidente dell’Ars è anche il commissario regionale di Forza Italia, non ha digerito l’operato del “tecnico”, tanto meno le mosse del politico, da sempre elemento di rottura rispetto al gruppo parlamentare. L’arroganza di Armao, che è passata dal mancato coinvolgimento del gruppo su alcune scelte di governo, ma anche da temerari posizionamenti politici a favore di candidati “altri” (come a Gela e alle Europee), ha interrotto i rapporti dentro Forza Italia, la prima forza della maggioranza, ed eretto un muro invalicabile tra parlamento e governo, determinando di conseguenza la palude amministrativa. Miccichè ha smosso mari e monti per far sollevare Armao dal suo incarico. Si è sempre fermato di fronte ai desiderata di Berlusconi, che sull’avvocato palermitano puntava eccome (tanto da proporlo come candidato alla presidenza della Regione). Ma ora che anche Musumeci avverte dei pruriti, che peso potrà avere il Cavaliere di Arcore?