L’ultima legge urbanistica della Regione siciliana, che secondo l’articolo 14 del proprio Statuto ha competenza legislativa “esclusiva” in materia, risale al lontano 1978. Quarantun’anni dopo, con una condivisione trasversale, la Commissione Territorio e Ambiente dell’Ars ha approvato all’unanimità il disegno di legge “Norme per il governo del territorio”, che ora dovrà passare dall’esame approfondito della commissione Bilancio. Trattandosi di una legge con una imponente previsione di spesa – ma l’on. Giusy Savarino spera che gran parte delle somme possano essere recuperate da fondi comunitari sul digitale – andrà in scena un esame attento e dall’esito per nulla scontato. Poi, se sarà il caso, il ddl tornerà in quarta per gli eventuali aggiustamenti e la vidimazione complessiva. Arriverà a Sala d’Ercole dopo che si concluderà il lunghissimo iter della legge sui rifiuti (trenta riunioni di commissione e un anno di gestazione), di cui si tornerà a parlare a gennaio, non appena l’Ars deciderà di abolire o modificare la parte del regolamento che riguarda il “voto segreto”. Fin qui la tempistica.
Tra i pilastri della nuova legge, che hanno convinto anche il Movimento 5 Stelle (un partito da sempre ambientalista), ce ne sono alcuni di sicuro impatto: ad esempio, “il ribaltamento del principio dell’espansione urbana (per esigenze residenziali e produttive) nell’ottica del consumo zero di suolo” e “la trasformazione delle città attraverso il riuso del costruito”. Il principio dello sviluppo sostenibile, come indicato nelle premesse del provvedimento, sarà perseguibile grazie al “recupero del tessuto insediativo esistente” e alla “rigenerazione di ambiti urbani degradati”. In questo modo si andrà incontro a un duplice scopo: migliorare la qualità del paesaggio e dell’ambiente, e restituire pregio ai centri abitati, che oggi rischiano di cadere sotto i colpi del degrado e del progressivo spopolamento.
A tal proposito, maggioranza e opposizione, con la mediazione fondamentale dell’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro, hanno raggiunto l’accordo sull’approvazione di un emendamento dei Cinque Stelle, che introduce il “certificato verde”. E’ quello rilasciato dai comuni ai costruttori che riescono a strappare al degrado alcune zone della città – denominate “area risorsa” – dando vita a opere di urbanizzazione primaria, come parcheggi o bambinopoli, in cambio della possibilità di costruire un’opera di pari cubatura in un’ “area rigenerazione”, solitamente inedificata. Quindi, riassumendo: se tu vuoi costruire in un’area inedificata dovrai impegnarti a ripulire un’area degradata e consegnarla al Comune in buono stato. In questo modo otterrai un certificato di virtuosità. E’ un provvedimento forte, che la Sicilia è la prima regione a sperimentare a livello europeo.
Il nuovo disegno di legge sull’urbanistica non appare rivoluzionario, ma è certamente necessario per adeguarsi ai tempi che corrono. Anche se, all’interno dei vari articoli, molte norme non sono giudicate così perentorie o di rottura. Relativamente al “consumo zero di suolo”, secondo i grillini, si può fare molto meglio. Non vengono individuati, ad esempio, precisi parametri che riguardano l’edilizia pubblica: “Nel rispetto dei limiti quantitativi fissati dallo strumento urbanistico comunale – si legge al comma 2 dell’articolo 31 – il consumo di suolo è consentito esclusivamente per opere pubbliche e/o di interesse pubblico, nonché per insediamenti volti ad aumentare l’attrattività e la competitività del territorio”. E comunque – viene specificato – “nei soli casi in cui non esistano alternative di riuso e rigenerazione delle stesse”. Ma è il segno che qualche eccezione è possibile. D’altronde, intervistata da Buttanissima, anche la presidente della IV Commissione Giusy Savarino ha spiegato che le normative comunitarie impongono di arrivare al consumo zero entro il 2050, e “noi lo faremo gradualmente”.
Un altro bersaglio che è stato centrato riguarda la tempistica entro cui i comuni siciliani devono dotarsi del piano regolatore generale (alcuni ne sono tuttora sprovvisti). Talvolta per redigerne uno occorrono dieci anni. Se questo disegno diventerà legge, invece, i margini di restringono a poco più di un anno, anche se non si tratta di termini perentori. In soccorso degli enti locali arriverà anche il piano territoriale regionale con valenza paesaggistica, all’interno del quale troveranno spazio i piani paesaggistici con annessi vincoli. E’ certamente un passo avanti, dato che oggi il governo del territorio, a causa dei numerosi livelli di pianificazione, è difficile da gestire. Ma realizzare un piano urbanistico e paesaggistico che comprenda tutto quanto è anche molto ambizioso. L’idea si faceva largo anche nella vecchia legge, ma non ha mai trovato applicazione. La sfida, ora, è riuscirci.
Il nuovo piano territoriale regionale (verrà usato l’acronimo di PTR) “si configura essenzialmente come strumento di carattere strategico” mediante il quale la Regione, “da mero controllore finale delle scelte di pianificazione dei comuni, diventa soggetto attivo della pianificazione”. Ad esempio, “tra le linee di indirizzo il PTR potrà dare le prime direttive sulla localizzazione delle discariche e degli impianti di trattamento connessi, sulle nuove direttrici di rete energetiche, sui siti non idonei alle fonti di energia rinnovabili, sugli indirizzi strategici di protezione civile, sul piano della portualità turistica, sul piano regionale dei trasporti, sul piano del dissesto idrogeologico, sul piano dei parchi, sui piani dei vincoli dei Beni Culturali, sul Piano Forestale”. Fornirà ai comuni una mappatura completa del territorio e insieme ai piani consortili e delle città metropolitane, assume “valenza strategica” e detta “gli indirizzi generali delle politiche di sviluppo regionale, nei settori del turismo, dei trasporti, dell’energia, dei beni culturali, dell’agricoltura, della pesca”.
Resta un po’ carente il capitolo della qualità architettonica, trattata solo fra i principi generali, mentre alcune norme sono ritenute un po’ troppo discrezionali (ma ci si potrà lavorare non appena il testo tornerà in commissione, ed eventualmente in aula). Tuttavia non sembra perdere alcun valore il motivo ispiratore della riforma: superare gli “strumenti urbanistici obsoleti”, e ovviare ai “tempi biblici per l’aggiornamento dei piani e per le approvazioni di varianti urbanistiche” da cui dipendono “ricadute pesantemente negative sull’assetto delle città e del territorio e sullo sviluppo economico e sociale della Regione”. Ma soprattutto “prevedere lo sviluppo delle città e del territorio regionale”, “promuovere la valorizzazione e il miglioramento delle qualità ambientali, architettoniche, culturali e sociali” e “ridurre il consumo di suolo”. La sfida è appena stata lanciata. L’onorevole Savarino ha assicurato che la riforma dovrebbe andare in aula a breve, compatibilmente con la sessione di Bilancio e con la legge sui rifiuti che, però, secondo il M5s “non è una cosa che si chiude in due settimane”. Ma se la commissione Bilancio e i futuri emendamenti non dovessero intaccarne l’ossatura, l’aula di palazzo dei Normanni non farà storie.