Bastava una semplice autocertificazione per aggirare i controlli e percepire illegalmente il Reddito di cittadinanza: l’ultimo scandalo che attraversa l’Italia parte da Rovigo e giunge fino ad Agrigento. La Guardia di Finanza ha scoperto e denunciato 239 stranieri che beneficiavano dell’assegno di Stato senza averne diritto: erano sprovvisti, infatti, del certificato di residenza, uno dei requisiti per fare domanda. Ma l’universo dei “furbetti” è immenso: vi abbiamo raccontato, di recente, come la Sicilia sia piena di boss e picciotti che, non avendo mai dichiarato di essere stati condannati per reati di mafia negli ultimi dieci anni (fra questi, alcuni affiliati del superlatitante Matteo Messina Denaro), percepivano il sussidio come se niente fosse. Truffando lo Stato per milioni di euro e “schermando”, allo stesso tempo, le attività illecite in cui erano coinvolti. Fin quando una situazione del genere potrà essere tollerata?
La risposta è di competenza del governo, dove i Cinque Stelle – un tempo azionisti di maggioranza – sono stati confinati da Draghi a mansioni minori (eccetto Di Maio, che resiste alla Farnesina). Ma la questione è assai più intricata di una semplice disputa politica o ideologica. Il primo a mettere realmente in discussione l’impianto del Reddito di cittadinanza è stato Matteo Renzi, che aveva sfoderato il tema al tavolo della crisi coi partiti dell’ex maggioranza giallorossa. Rimase inascoltato. “Il reddito non si tocca”. Ma nel passato meno recente anche l’ex premier Conte e lo stesso ministro Di Maio, per non parlare del capo dell’Inps, Pasquale Tridico, avevano invocato una sorta di “tagliando” sul Rdc. Nato come efficace metodo di contrasto alla povertà, ma spirato quasi subito di fronte alla prospettiva di garantire ai disoccupati un reinserimento nel mondo del lavoro. Fase-uno e fase-due sono totalmente disconnesse. E il responsabile di questa fase-due ha un nome e un cognome: Domenico Parisi, detto Mimmo, capo dell’Anpal.
L’Anpal è l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. Quella che ha organizzato i concorsi per i 2.700 navigator e che, nelle intenzioni dell’ex ministro allo Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, avrebbe dovuto guidare la transizione dal (potenziale) divanismo a un vero impiego. Così il 18 settembre 2018, su Facebook, l’allora capo politico del M5s annunciava l’avvento del salvatore della patria: “Quello nella foto – recitava il post – è Mimmo Parisi, un professore di origini pugliesi che lavora da 30 anni in America. È il direttore della National Strategic Planning and Analysis Research Center e si occupa dei centri per l’impiego degli Stati Uniti, che sono un modello di efficienza. Ci darà una grossa mano per fare i nuovi centri per l’impiego anche in Italia. Un mix di innovazione tecnologica e ristrutturazione completa di questi centri. Abbiamo un miliardo e mezzo da investire per questa missione. Grazie al Reddito di cittadinanza, inserito nella Manovra del Popolo, e ai nuovi centri per l’impiego reintrodurremo e avvieremo al lavoro milioni di italiani”.
Una promessa rimasta sulla carta, dato a due anni dall’esordio della misura – gli ultimi dati ufficiali risalgono a novembre, e sono stati illustrati in audizione, alla Camera, da Parisi in persone – avevano trovato un impiego 352 mila persone, di cui una grossa fetta con contratto a termine. In quel momento, ne lavoravano 192 mila (il 15% dei percettori). Altro che milioni. Un autentico flop. Del governo, dei Cinque Stelle e ovviamente anche di Parisi, che è balzato agli onori delle cronache per altri aspetti della sua carriera professionale. Ad esempio, per la presunta incompatibilità del suo incarico. Il direttore della National Strategic Planning and Analysis Research Center, infatti, raramente si vede a Roma. Trascorre le sue giornate negli Stati Uniti, dove insegna all’università del Mississippi (MSU). Un impiego borderline, dal momento che lo statuto di Anpal, in riferimento al ruolo del presidente, all’articolo 5 spiega che “è incompatibile con altri rapporti di lavoro subordinato pubblico o privato”.
Una questione sollevata anche in Parlamento, ma presto “insabbiata” dai Cinque Stelle. Che si fidano delle dichiarazioni di Parisi – ha sempre sostenuto di essere un consulente, e non un dipendente dell’università – e attraverso il sottosegretario Fraccaro richiedono un parere al Dagl, il Dipartimento affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi. Il quale, però, non si esprime sulla base di un contratto, ma sulla “mera lettura della bozza della lettera di proposta di incarico” fornita dal diretto interessato. Il Ministero del Lavoro, per fare ulteriore chiarezza, chiede alla MSU di confermare che Parisi non è più un dipendente (“employee”) ma un consulente (“self-employed consultant”). L’Università, però, smentisce la versione di Mimmo, spiegando che si tratta di un dipendente dell’Università con contratto part-time, che ha il compito sviluppare affari e interessi della MSU in Europa. Questo documento, decisivo per stanarlo, finisce impolverato nei cassetti e il prof. resta comodamente al suo posto: con uno stipendio da 176 mila euro l’anno e rimborsi che variano da 140 a 160 mila euro per i viaggi in America (rigorosamente in business class, per non affannare la sua schiena malconcia).
Al netto dei vezzi, Parisi non ha mai dimostrato grandi abilità. Non è ancora riuscito a rivoluzionare i centri per l’impiego, dove da circa un anno si parla di concorsi (in tutte le Regioni, fra cui la Sicilia, dove verranno messi a bando 1.135 posti). Non ha ancora fornito ai navigator, scrupolosamente allevati, una piattaforma comune per facilitare l’incrocio fra domanda e offerte di lavoro, un sistema più funzionale a garantire la reale applicazione del “patto” sottoscritto coi percettori del reddito al momento del colloquio. E non si è fatto interprete del malumore degli stessi tutor, nuovi precari di Stato, che hanno il contratto in scadenza a fine aprile e non sanno ancora che destino li attende: rinnovo per pochi mesi (come nelle intenzioni dell’ex ministro Catalfo), stabilizzazione, o cos’altro? “Un atto di Dio ha consentito che io e il ministro Di Maio ci incontrassimo”, aveva dichiarato al kickoff dei navigator – ha americanizzato tutto per farlo sembrare migliore – lo stesso Parisi. Il quale, dalla nascita del nuovo governo, ha avuto modo di confrontarsi col ministro Orlando solo in videoconferenza, bazzicando più il Mississippi che la Capitale.
La parabola del paisà di noantri somiglia molto a quella di un altro Domenico, il supercommissario Arcuri, che nei giorni scorsi Mario Draghi ha rimosso dalla guida della struttura commissariale anti-Covid, e fatto rientrare alla base (è amministratore delegato di Invitalia). Il premier ha deciso che della distribuzione dei vaccini dovrà occuparsi un generale dell’Esercito. E, una volta terminata la fase acuta della pandemia, potrebbe decidere di mettere mano a questo capitolo delicato del Reddito di cittadinanza. Cercando di ripristinare un principio di equità e uguaglianza che troppi episodi, e qualche interprete piegato al populismo, hanno clamorosamente mandato in fumo. In verità un segnale è già arrivato: qualche giorno fa il ministro Andrea Orlando ha dato il via alla costituzione del comitato tecnico-scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza, previsto fra l’altro dalla legge. E vi ha messo a capo la professoressa Chiara Saraceno, sociologa e accademica di grande spessore, per fare luce e, forse, pulizia. In Sicilia i percettori dell’assegno di Stato sono 551 mila. Una platea infinita. Ma neanche i furbetti si contano più.