Una delle poche certezze di questa Regione martoriata è il caos legato al suo patrimonio immobiliare. Inestimabile e inestimato al tempo stesso. Nel senso che tutti vorrebbero trarre da esso il miglior profitto, ma nessuno ha ancora capito quanto vale. E’ da questa mancata stima che si sviluppa lo scandalo più clamoroso dei nostri giorni: quello perpetrato da noti avventurieri, e con una complicità politica che non è mai stata appurata (né dai magistrati contabili, tanto meno dalle Procure), ai danni della Regione, e di tutti i siciliani, facendo costare 110 milioni un censimento che non è mai servito a nulla. Anzi, fino a pochi mesi fa, quando il dibattito è entrato di prepotenza nelle sedi competenti (all’Ars) grazie alla spinta del Movimento Cinque Stelle, nessuno si era preoccupato nemmeno di leggere i dati al suo interno, che poi sono risultati inservibili. Inutilizzabili. Capùt.
Questa è una storia che parte da lontano, lontanissimo, per arrivare fino ai nostri giorni. E precisamente al 27 dicembre 2019, quando su proposta dell’assessore all’Economia, Gaetano Armao, è stata approvata una delibera di giunta che prevede la cessione “coattiva” del 35% del Fondo immobiliare pubblico Regione siciliana (noto con l’acronimo Fiprs), dalla Regione stessa al Fondo Pensioni, che dal 2008 paga gli assegni di quiescenza agli oltre mille dipendenti regionali (assunti dopo il 1986) che hanno già maturato la pensione. Perché mai un Fondo Pensioni sia stato scelto per acquisire il patrimonio immobiliare regionale è una domanda che già apre a numerosi interrogativi. Ma questo nella delibera non viene chiarito. Tuttavia, si specifica di dar seguito a una norma rimasta inattuata e risalente al governo Crocetta, quando l’assessore al Bilancio dell’epoca, Alessandro Baccei, facendo lo stesso tipo di riflessione, impose al Fondo di acquisire terreni e immobili per circa 22,75 milioni di euro. Quel tipo di accordo, in realtà più ampio, prevedeva la sospensione dei versamenti annui da 59 milioni che la Regione concedeva al Fiprs per la sua capitalizzazione.
Una norma che, a causa della protesta dei sindacati e per i dubbi sollevati dalla Corte dei Conti (“Vi è la concreta possibilità – scrissero i magistrati nel 2017 – che le valutazioni siano iperboliche e inadeguate e non tengano conto delle previsioni negative del mercato immobiliare”), è rimasta inattuata, senza mai essere impugnata. Solo di recente la Regione ne ha posticipato i termini per la sua entrata in vigore al 30 giugno 2019. Dando seguito, cioè, all’idea di Crocetta e Baccei: sbarazzarsi di una partecipazione scomoda allo scopo di far cassa. Ma stavolta i 22,75 milioni valgono solo come acconto, in attesa di stabilire a quanto ammonti – davvero – quel pezzo di patrimonio immobiliare. A stabilirlo sarà una commissione “terza”, dove avranno voce in capitolo un rappresentante del Fondo Pensioni, un rappresentante del Dipartimento Finanze e Credito della Regione e un “collega” dell’assessorato all’Economia, invitato a ricoprire il ruolo di super partes. Saranno loro a stimare il valore degli immobili, e di conseguenza di quel 35% che la Regione ha voglia di cedere a tutti i costi.
Saranno questi tre soggetti, sulla base di criteri non ancora noti, a fare il lavoro che avrebbe dovuto completare la Spi (Sicilia Patrimonio Immobiliare) nel lontano 2009, quando nell’accordo di cessione di 33 immobili dalla Regione al fondo Fiprs – siglato dal governo Cuffaro due anni prima – era compreso il censimento del patrimonio dell’ente, i cui costi si sono misteriosamente moltiplicati fino a sforare i 100 milioni (tra fatture gonfiate e vecchi contenziosi). Ed è lo stesso lavoro che l’assessore Armao, mediante una norma poi stralciata dall’ultimo “collegato” alla Finanziaria, avrebbe voluto affidare al dipartimento tecnico della Regione e al Genio Civile per ottemperare alla richiesta della Corte dei Conti, che insisteva per conoscere il valore degli immobili in capo a palazzo d’Orleans. Un inseguimento lungo anni, che ora sembra volgere a un epilogo misterioso.
In effetti, tre indizi fanno una prova: il primo è la cessione “obbligata” al Fondo Pensioni, il secondo è una rivelazione di Nuccio Di Paola, deputato regionale dei Cinque Stelle, che su questa vicenda del censimento “fantasma” si è incaponito come pochi. Dopo una richiesta di accesso agli atti, al deputato grillino è stato spiegato che “la Regione non sa cosa possiede e, soprattutto, non sta facendo nulla per poterlo scoprire dopo il censimento flop del 2009. Ce lo hanno detto gli uffici dell’assessorato al Bilancio – scriveva Di Paola qualche giorno fa – che candidamente hanno ammesso che la cosa non è di loro competenza e che non hanno il personale per poterlo fare. Vorremmo capire come fa la Regione a predisporre manovre di bilancio o a pensare a pianificare operazioni immobiliari se prima non fa nulla per accertarsi di cosa sia di sua proprietà”. Sino al 2006, prosegue Di Paola, “l’attività era svolta a titolo oneroso dall’Agenzia del Demanio”, mentre gli uffici del Bilancio “attualmente si avvalgono degli uffici del Genio civile competenti sul territorio, ma solo in maniera sporadica”.
La sostanza è che nessuno ha fatto un censimento e i dati rinvenuti nel vecchio – aperto a metà luglio dopo un’insistente attività di ricerca della password (anch’essa fantasma) – non ha dato gli esiti sperati. Le uniche informazioni emerse dal server di Sicilia Patrimonio Immobiliare, riguardano il numero e la dislocazione dei cespiti della Regione (questo è il terzo indizio). Non il loro valore, che dovrà essere ricalcolato sulla base delle rendite catastali aggiornate. Fa ancora più strano, alla luce di queste conclusioni (rese da Armao alla commissione antimafia durante un’audizione di inizio settembre), che ora la Regione si “inventi” questa manovra: sbolognare un capitale senza stima a un Fondo Pensioni che deve farsene carico a tutti i costi. E in virtù di una legge fatta approvare da Crocetta, che per l’attuale compagine di governo è considerato il “diavolo”.
Il fondo Fiprs è di proprietà di Prelios sgr (attualmente gestisce 32 fondi e 4 miliardi di patrimonio in tutta Italia), l’ex Pirelli Re coinvolta durante il governo Cuffaro nell’operazione di svendita dei 33 immobili, che poi la Regione ha ripreso in affitto a cifre irreali (venti milioni l’anno). Ma anche sul nuovo iter, già noto ai magistrati contabili, la Corte dei Conti ha espresso non pochi dubbi: innanzi tutto perché “il Fondo Prelios presenta una forte esposizione debitoria nei confronti del sistema bancario”, ma anche perché “continua ad essere negletta l’autonomia decisionale del Fondo Pensioni Sicilia, in contrasto con la sua natura di Ente previdenziale, i cui organi dovrebbero poter ponderatamente valutare in autonomia se, in che misura e con quali procedure estimative realizzare gli investimenti immobiliari”. In autonomia, e non sotto l’azione coercitiva del governo regionale.
Forse a tutto questo c’è una spiegazione, ma per il momento nemmeno i sindacati la vedono: “Sarebbe la prima volta in cui un acquisto non è deciso da chi compra ma imposto da chi vende – ha detto Mario Matranga, del Cobas -. E chi vende obbliga pure a decidere il prezzo… Per noi è un’operazione da bloccare perché il vero obiettivo del governo è usare il Fondo Pensioni come un bancomat, sfruttando gli accantonamenti destinati a garantire gli assegni di quiescenza dei regionali”. Il tesoretto a disposizione del Fondo Pensioni, come rivela il Giornale di Sicilia, si aggirerebbe sul miliardo e mezzo. Risorse da drenare e utilizzare per le casse della Regione, che ha 8 miliardi di debiti verso terzi e un grosso disavanzo da estinguere. Ma è questo il modo giusto?