Alcuni primati fanno piacere, altri letteralmente impressionano. Al “Vinitaly”, la fiera del vino giunta alla 53.ma edizione, che in questi giorni catalizza l’attenzione di tutti gli addetti ai lavori, la Sicilia sfoggia numeri di un certo peso: ad esempio, è la prima Regione italiana per dotazione economica da parte dell’Unione Europea. E se questa è la parte che interessa i politici, e di riflesso gli imprenditori, c’è un altro numero che fa saltare sulla sedia: nel 2018 sono stati imbottigliati 80 mila “pezzi” di Doc Sicilia, uno dei prestigiosi marchi di origine controllata, che ha fatto registrare il 173% di crescita.
Numeri che inebriano l’assessore regionale all’Agricoltura Edy Bandiera, che si gode il momento senza tirare i remi in barca: “A Verona sto toccando con mano il balzo in avanti, in termini d’apprezzamento, per la vitivinicoltura siciliana. Non si tratta di parole, sono i numeri che parlano. E’ il risultato della grande capacità, da parte di imprenditori e operatori brillanti, di organizzarsi, fare squadra, innovare e “aggredire” i mercati nazionali e internazionali. Ma è anche l’emblema di una bella sinergia fra mondo pubblico e privato. A testimonianza della capacità di spesa e di piena attuazione degli obiettivi prefissati dal Programma comunitario, la Regione si è vista assegnare per il prossimo biennio 55,5 milioni di euro dall’Europa”.
Al “Vinitaly” la Regione conta su un immenso padiglione di oltre tremila metri quadrati. L’Isola è presente con 147 aziende del vino, provenienti da tutti i territori vocati alle produzioni di qualità. Tutto ciò a conferma di un altro primato: la Sicilia è la regione più “vitata” d’Italia con 97.063 ettari, seguita dal Veneto e dalla Puglia. Dei 97.063 ettari che compongono il Vigneto Sicilia, 73.601 sono rivendicabili come vigneti a “Denominazione d’origine” (Do) o a “Indicazione geografica” (Ig), ovvero con produzioni che seguono specifici disciplinari orientati verso la qualità, mentre i rimanenti 23.462 ettari sono classificati come produzione di vino da tavola. Una parte che diverrà sempre più residuale, a beneficio – ovviamente – della qualità, ossia il marchio di fabbrica della cultura vitivinicola siciliana, che oggi rappresenta una branca fondamentale dell’economia agro-alimentare dell’Isola.
Assessore, qual è il dato che la sorprende di più fra quelli resi noti in questi giorni dall’Istituto Regionale Vino e Olio (Irvo), dal dipartimento regionale all’Agricoltura e dal Consorzio Doc Sicilia?
“Ciò mi rende davvero entusiasta è sapere che fino a vent’anni fa il mondo del vino siciliano fatturava cento milioni di euro. Oggi abbiamo superato il miliardo”.
E’ stato colmato il gap con altre regioni che detenevano, anche a livello qualitativo, il primato in questo ambito? Dalla Toscana al Piemonte…
“Credo di sì. Ma c’è dell’altro: a differenza di altre regioni che avevano raggiunto picchi importanti, noi abbiamo un enorme potenziale ancora inespresso. La “Doc Sicilia”, che in un anno è passata da 29 a 80 milioni di bottiglie, festeggerà presto il traguardo dei cento milioni. Segno che il trend continua e i margini di miglioramento sono dirompenti”.
Dove sta il segreto? Nella tenacia dei produttori, nel clima o nella capacità di innovare?
“Intanto nella capacità e nella lungimiranza degli imprenditori. Oggi la Sicilia è diventato un brand ricercatissimo, un continente a sé stante. Come ci ha insegnato il nostro Gesualdo Bufalino, in un unicum convivono cento climi e cento peculiarità differenti. Ma la nostra biodiversità rimane agganciata a una storia e a una tradizione millenaria. Questa è la ricetta vincente”.
Crescono anche le certificazioni?
“In Sicilia non si è mai bevuto bene come oggi grazie ai vini siciliani. Il made in Sicily conferma il suo trend di crescita in termini qualitativi e quantitativi. Basti pensare alla certificazione dei vini targati Doc, che in cinque anni è cresciuta in modo esponenziale passando, per avere un’idea, dagli 832 certificati emessi nel 2013 per 287 mila ettolitri, ai 2.371 certificati rilasciati nel 2018 per 933 mila ettolitri. La certificazione dei vini di qualità si è quadruplicata. Ciò è stato possibile grazie al miglioramento della capacità produttiva, delle conoscenze tecnologiche e della comunicazione”.
L’Unione Europea vi ha confermato la più alta dotazione, fra le varie regioni italiane, nel settore della vitivinicoltura. Cosa rappresenta questo dato?
“Nell’ultimo biennio, abbiamo speso tutti i fondi a nostra disposizione nelle tre misure previste: la ristrutturazione e la riconversione dei vigneti, gli investimenti e la promozione nei paesi terzi, extra Ue. E’ il riconoscimento di un percorso virtuoso. Seguendo la nostra road map, spero che tutti i comparti dell’agricoltura siciliana prendano esempio dalla capacità e dalla lungimiranza che ha dimostrato il mondo del vino siciliano”.
Cosa farà la Regione per supportare il settore?
“La prossima campagna Ocm prevede di destinare il 20% dei fondi comunitari (circa 8 milioni) alle attività di promozione verso i paesi extra Ue. Assieme ai fondi del Psr, destinati al mercato interno dell’Unione Europea, esistono gli strumenti finanziari per sostenere i produttori. Abbiamo dimostrato di saper lavorare bene, mettendoli nelle condizioni di affermarsi a tutti i livelli. Tantissimi mercati bussano alla nostra porta per manifestare un enorme interesse verso il brand Sicilia”.
Fra le tante storie di imprenditori siciliani, Lei ha scelto di premiare col “benemerito” – un riconoscimento assegnato ogni anno dai venti assessori regionali all’Agricoltura – Nino Caravaglio, il primo a re-impiantare un vigneto nell’isola di Stromboli. Perché?
“Da un lato sono un romantico, dall’altro un appassionato del mondo delle nicchie virtuose. Noi abbiamo l’opportunità e il dovere di diversificare. Se tutti nel mondo facessimo lo stesso vino, non si capirebbe perché acquistare quello siciliano. Solo facendo leva sulle nostre peculiarità, riusciamo ad affermarci in maniera forte. Ecco: l’esempio di Caravaglio si muove in questa direzione. Produce il vino nelle anfore e la sua è una forma di agricoltura eroica, perché da quelle parti sarebbe difficile non solo produrre ma anche fare reddito. E’ stato bravo a declinare in chiave moderna e produttiva la nostra tradizione millenaria. Uno degli elementi chiave per sfondare è creare valore aggiunto”.
Il valore aggiunto costa…
“Ne siamo consapevoli. Ma la qualità è l’unica chiave per fare in modo che il consumatore sia disposto a pagare di più. Non dobbiamo mai dimenticare che i nostri costi di produzione sono elevati. Credo che per essere competitivi sia necessario ancorare un prodotto di per sé eccellente da un punto di vista organolettico a un territorio altrettanto suggestivo, capace di offrire percezione e sensazioni che altrove non si trovano. La Sicilia ne è capace”.