La Regione si è incrocchiata sulle emergenze, ma soprattutto sulle scadenze. Ce ne sono un paio che non consentono a Renato Schifani di fissare il nuovo indirizzo dell’azione di governo, ma soprattutto di sciogliere le riserve su un rimpasto che quasi nessuno, ormai, ritiene indispensabile. E sarà quello il primo atto alla ripresa dei giochi: sostituire l’assessore all’Economia, con Falcone che ha le valigie in mano e attende di trasferirsi a Bruxelles; e restituire la delega all’Agricoltura, che il governatore controlla ad interim da quasi tre mesi. Cioè dall’inchiesta per corruzione che ha interessato il suo vice, Luca Sammartino, sospeso per dodici mesi dagli incarichi pubblici. Sammartino si era dimesso dopo la notifica del provvedimento.
Schifani, in questi mesi di durissima emergenza, con la siccità che ha preso il sopravvento sul resto, ha provato a occuparsi di questa materia ostica, facendosi assistere in primo luogo dai dirigenti – con Dario Cartabellotta a reggere la baracca – e da una cabina di regia che ponderasse le richieste d’aiuto nei confronti del governo nazionale. Non è andata benissimo, giacché Musumeci ha garantito un aiutino da 20 milioni (che peraltro, in mancanza di progetti e opere, non si possono liquidare). Ma il problema è più profondo di così: ad attendere il ritorno dell’assessore, o nella peggiore delle ipotesi, la nomina di un suo sostituto, sono soprattutto le organizzazioni di categoria. E anche i Forestali, che avevano ottenuto da Sammartino la promessa di riformare il settore in tempi utili. La gestione dell’intero pacchetto, per Schifani, si sta rivelando assai ardua e lo stesso governatore, in una intervista rilasciata al Giornale di Sicilia qualche giorno fa, ha ammesso che “la sua assenza in giunta mi pesa. Attendo la decisione del Tribunale del Riesame”.
Sulla revoca dell’interdizione dai pubblici uffici, si attende un verdetto entro le prossime due settimane (il 25 luglio scade la deadline). Da parte della difesa del parlamentare leghista – Sammartino continua a occupare il suo scranno all’Ars ed è tra gli artefici dell’elezione di Raffaele Stancanelli all’Europarlamento – trapela assoluta fiducia: “Abbiamo una sola certezza, lo abbiamo detto ai giudici e lo possiamo dire a tutti, noi celebreremo questo processo avendo la certezza di argomenti che portano all’assoluzione dell’imputato – ha detto l’avvocato Carmelo Peluso -. Quindi, qualunque sia il risultato di questa fase cautelare, c’è una certezza assoluta: Luca Sammartino si sottoporrà a un processo nell’attesa di una certa assoluzione”. In attesa di Sammartino l’agricoltura attraversa una fase d’incertezza, soprattutto sul versante dell’emergenza idrica, che un paio di avvisi ghiotti (11 milioni per la diversificazione delle attività e 20 per “nuovi imprenditori”) non bastano a mitigare.
Ma l’altro elemento che blocca le scelte di Schifani è il trasferimento di Falcone in Europa (la prima data utile è il 22 luglio) e la sua sostituzione. All’Ars entra Salvo Tomarchio, primo dei non eletti di Forza Italia a Catania. Sul nuovo assessore, invece, l’uscente non potrà mettere bocca. Aveva proposto l’ex eurodeputato ed ex direttore generale dell’Università di Catania, Giovanni La Via, e il risultato è che Schifani non gli risponde più al telefono. Per evitare di bruciare altri nomi, Falcone ha scelto la via del silenzio. Auspica un coinvolgimento della sua corrente “catanese” nelle prossime decisioni assunte dal partito nell’Isola, complice la copertura romana (di Tajani & Co.). Ma non è detto che Schifani e Caruso pescheranno in quell’area: anzi, l’ipotesi più quotata è che possano affidarsi a un altro tecnico – l’attuale capo di gabinetto Totò Sammartano – in modo da poterlo controllare ed evitare che gli faccia ombra, come già avvenuto con Falcone e con Tamajo, che infatti resterà alle Attività produttive e non verrà promosso alla sanità.
Il rimpastino è attualmente congelato da queste due vicende, ma fra due settimane non dovrebbe cambiare granché. Anche perché l’altra pedina che rischia davvero di saltare è l’assessore al Territorio e Ambiente: Elena Pagana. Fratelli d’Italia, dopo essersi assicurata l’elezione di Ruggero Razza (il marito) a Bruxelles, non farà nulla per difenderla. E il governatore l’ha già punzecchiata per non aver gestito con tutti i crismi la vicenda della chiusura della discarica di Lentini (l’altro “colpevole” è l’intoccabile Roberto Di Mauro, difeso a spada tratta da Lombardo). I patrioti, invece, proveranno a trattenere Scarpinato, che con Schifani non s’è mai preso, mentre non è in bilico la posizione di Aricò e Amata, quest’ultima alta esponente del gruppo Balilla e detentrice della leva del Turismo.
Altrove non si muoverà quasi nulla. La Lega punta alla conferma di Turano, un altro “reprobo” per la gestione dei corsi di formazione. Cuffaro vorrebbe conservare i suoi attuali rappresentanti (Andrea Messina agli Enti locali e Nuccia Albano al Lavoro), mentre Lombardo difficilmente potrà esigere un secondo assessore, a parte Di Mauro. Il trasferimento in Europa della Chinnici, cui il Mpa ha contribuito con un bel bottino di voti, dovrebbe archiviare le velleità dell’ex governatore di Grammichele. Schifani sul punto è stato abbastanza chiaro: “A livello regionale la Dc e il Mpa resteranno partiti autonomi e manterranno all’interno del governo regionale gli spazi determinati dall’esito delle elezioni regionali del 2022”.
Questi due partiti gli sono serviti a vincere la sfida con Fratelli d’Italia, portando FI a un passo dal 24%. Ma il risultato è farina del sacco altrui: a partire da quello di Edy Tamajo, che ha dovuto cedere non solo il seggio di Bruxelles (per “amor di partito”) ma anche archiviare le ambizioni di accasarsi alla Sanità (Totò Cardinale non avrà di che rallegrarsi); per non parlare degli “affluenti” Cuffaro e Lombardo, che hanno garantito una grossa spinta a Forza Italia puntando su candidati ad hoc. Per loro neppure un briciolo di riconoscenza: si riparte dalle solide certezze (fra cui Giovanna Volo), da una speranza (Sammartino) e da un peso in meno (Falcone). Più che un rimpasto sembra una presa in giro. Mai come quella che verrà dopo: al termine del “tagliando” (e della manovrina colma di mance per i deputati) tutti in vacanza per un mese. Ci si ritrova a settembre, magari con qualche emergenza in meno da gestire.