Lo spettro di un cambio al vertice del Pd in Sicilia esiste da mesi. Da quando, furiosamente, la Piccione si stabilì sull’Aventino e mandò strali di ogni genere contro Davide Faraone. Alla protesta sono seguiti i ricorsi e alcune parole di Nicola Zingaretti, il quale non era ancora diventato segretario nazionale, che a proposito del congresso siciliano, durante un intervento a Palermo, disse che “le primarie sono state un’occasione fallita. Ora spero che ci si fermi e si rivedano certe posizioni. Vogliamo costruire il nuovo Pd e lo costruiremo anche in Sicilia, aprendoci all’ascolto di chi ha bisogno e di chi è arrabbiato”. Troppo chiari i riferimenti alla sua corrente. Una presa di posizione che innervosì Faraone. Il quale, utilizzando l’epiteto di “paparino romano”, non fu affatto tenero nei confronti di chi “sconosce il Sud, la Sicilia, che magari si è fatto qui solo una vacanza, che viene in astronave, ci fa la lezioncina e poi torna nella sua comoda poltrona romana”. La pace sembrava sancita durante la campagna elettorale. Ma c’è sempre un aspetto della questione che disturba Zingaretti e i suoi seguaci: ossia che il partito, in Sicilia, resti in mano a un renziano di ferro.
Paolo Cesareo
in Il sabato del villaggio
Tutto a Roma, nelle mani di Zingaretti
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