L’uomo qualunque vorrebbe ancora crederci alla politica. Al centrodestra, al centrosinistra, alle battaglie, ai valori. Ma poi arriva l’Election Day, e viene spontaneo chiedersi perché. A che serve. A chi frega. Tutti i partiti sono diventati un grande autobus verso un’elezione all’Ars, a Montecitorio o al Senato. Per dirla con Claudio Fava, “per molti candidati il pensiero dominante, in questa campagna elettorale, non è tanto un progetto politico, un contenuto, una coerenza rispetto alla propria storia, ma solo l’obiettivo d’essere eletto. Come se le liste fossero diventate agenzie di collocamento”. Quella con maggiore appeal e che ti garantisce di più – chissenefrega se proviene dal Nord o è fondata sui “vaffanculo” – vince a mani basse. E nessuno, o quasi, è immune da questa pratica.
Negli ultimi giorni si contano decine di casi. Prendete l’assessore al Territorio e Ambiente Toto Cordaro (che per inciso, non è candidato): nel volgere di 25 giorni, è passato dai “Liberi e Forti” di Sturzo (con l’Udc) allo slogan “Patria e Famiglia” di Giorgia Meloni. Perché un uomo di centro, che il 5 agosto, dopo l’incontro con Cesa e Lagalla, aveva parlato di “ritorno a casa”, decide per un clamoroso salto a destra? Facile: “L’Udc è un contenitore vuoto”, asserì Cordaro nel giorno della presentazione delle liste, quando alla piccola creatura di Cesa, tenuta al guinzaglio da Cuffaro, fu impedito di candidare uscenti. “Ho aderito a un partito nazionale che considero una garanzia per il futuro della regione e dell’Italia, con cui ho valori in comune”, si giustifica oggi l’assessore. Nessuno giudica, ma a giudicare da questo strano fenomeno la politica è sempre più un circo. Dove vale tutto.
Cordaro, in questi cinque anni al fianco di Musumeci, si era progressivamente allontanato dall’amico Saverio Romano e dal “suo” Cantiere Popolare: l’ex ministro, capendo l’antifona, l’aveva scaricato sui social. Non più tardi del 28 aprile scorso, prima che si definisse la corsa di Lagalla a sindaco di Palermo (un altro che ha virato in direzione Udc). “Se qualche tempo fa qualcuno mi avesse fatto scommettere sulla indissolubilità di un rapporto di amicizia prima che politico tra me e Toto, avrei scommesso tutto quello che mi era rimasto di ciò che avevo già investito su di un binomio paragonabile solo ad un rapporto padre figlio”, scrisse Romano. L’inizio di un addio.
Fratelli d’Italia, in questa fase politica, è l’autobus più spazioso e accogliente. Siedono in prima fila i quattro ex grillini, che nel 2020 erano usciti dal Movimento – grazie a una manovra astuta dell’assessore Razza – per fondare Attiva Sicilia, divenuta presto la stampella di Diventerà Bellissima. Ora che Db è naufragata nell’immenso mare sovranista, gli ex portavoce dei Cinque Stelle sono tutti lì, accomodati in prima fila: a cominciare da Elena Pagana, moglie dell’assessore Razza, passata dal vaffa di Grillo all’eia eia alalà di Giorgia Meloni; insieme a lei Angela Foti, capolista nel collegio di Catania alle Regionali; ma anche Sergio Tancredi e Matteo Mangiacavallo, in corsa a Trapani e Agrigento. Insieme a loro Musumeci (che ha “barattato” la presidenza della Regione con un seggio blindato a palazzo Madama) e i reduci del movimento di Musumeci: tagliati fuori da tutti i collegi per le Politiche, tornano alla ribalta per assicurarsi un seggio all’Ars (dal ragusano Assenza al palermitano Aricò, passando per Giusy Savarino, presidente uscente della commissione quarta).
Niente di male, ma un po’ di confusione nell’elettorato rischia di sorgere. Tra le piroette dell’ultima ora quella di Gaetano Armao, figura di spicco di Forza Italia. Che fino alla sera prima avrebbe chiesto a Schifani la disponibilità a caricarlo a bordo, e il giorno dopo il niet, invece, si è trasformato in candidato governatore per il Terzo Polo, attraverso il partito di Calenda (a spingere nella sua direzione sono stati, soprattutto, i ministri Gelmini e Carfagna; un po’ meno i renziani, che a quel punto sono stati al gioco). La cosa buffa è che Armao continua a collezionare figuracce nel governo di centrodestra a guida Musumeci (come la richiesta di impugnativa dell’ultima Finanziaria per intero ad opera del presidente Draghi). Nessuno ha spiegato – né a lui né al suo governatore – che trattasi di situazione imbarazzante per tutti. Tanto siamo a fine corsa, avranno pensato.
A non superare il ‘taglio’ di Cuffaro, anche un altro protagonista dell’Udc: Mimmo Turano. L’assessore alle Attività produttive, però, non s’è rivolto ai patrioti di Fratelli d’Italia. Quanto alla Lega di Salvini. Che avendo capito di avere a che fare con un ‘peso massimo’, l’ha subito piazzato nel collegio di Trapani per le Regionali, ma anche alle Politiche, in posizione favorevole per il Senato (col proporzionale). Assieme a lui, un po’ in sordina, c’è anche l’altra deputata uscente dell’Udc, che fino all’altro ieri ha rivestito il ruolo di capogruppo all’Assemblea regionale: Eleonora Lo Curto. Un cambio in corsa senza battere ciglio. Ma la Lega è così: il nuovo contenitore dei moderati, che già in passato aveva accolto Pullara, Caronia, Sammartino, Cafeo. Di fatti non si chiama più Lega, ma Prima l’Italia. Almeno nell’Isola. All’interno c’è anche Maricò Hopps, per anni referente del Carroccio a Trapani: schierata col partito di Salvini alle Politiche (è candidata al Plurinominale per il Senato) e con gli Autonomisti (nella lista assieme ai Popolari), federati con Salvini, alle Regionali. Sarà un bel guaio fornire indicazioni di voto univoche.
Sempre tra i centristi, invece, è difficile immaginare la confusione degli elettori di Giuseppe Alessi, nipote (e omonimo) dell’ex presidente della Regione. Vice-commissario regionale della DC, spalla di Cuffaro, è candidato alle Politiche, nel collegio Palermo-Settecannoli, con il Terzo Polo di Calenda e Renzi, che in Sicilia sostiene la corsa del multicasacca Armao. Mentre la DC Nuova è una delle cinque liste a sostegno di Renato Schifani. Quelli a cui sta simpatico Alessi, chi dovranno votare? Meno complessa, ma più sofferta, la scelta dei sostenitori di Angelo Villari e Luigi Bosco: il primo (ex) commissario del Pd di Catania, il secondo autorevole assessore della giunta Bianco. Messi con le spalle al muro dalla Chinnici per la storia degli “impresentabili”, hanno trovato rifugio in Cateno De Luca, che li schiera entrambi nella lista di Sicilia Vera per Palazzo dei Normanni.
Anche l’assessora uscente all’Energia, Daniela Baglieri, ha dovuto cambiare pelle per tentare l’assalto a un seggio: dall’Udc a Forza Italia. Lo stesso partito che ha riaccolto dopo mille cambi di maglia anche Totò Lentini, passato in un batter d’occhio da Ora Sicilia a Fratelli d’Italia agli Autonomisti e infine di nuovo a Forza Italia, con cui aveva iniziato la legislatura all’Ars. Certi amori fanno un giro immenso e poi ritornano.