Note a margine delle Quirinalizie e della “opzione donna”. Con una premessa. Anzi, una pubblica confessione, “introibo ad altare Dei”, come è dovuto in questi tempi mistici e miscredenti in cui è difficile esprimere un’idea appena alternativa senza presentare adeguata preventiva giustificazione.
La mia prima tesi di laurea ebbe una copertina rosa, che fu un travaglio ottenere perché non rientrava tra le possibili proposte delle copisterie, negli anni che precedettero la rivoluzione copernicana dei computer. E fu il suggello di una lunga battaglia, in famiglia e fuori, iniziata con l’adolescenza e mai finita, per provare ad ottenere pari ed eque opportunità, perché fossimo considerate tutte persone-donne.
Rosa la volli, la copertina. Perché mi sembrava l’unica possibile cornice alla mia analisi su “Spare Rib. A Women’s Liberation Magazine”, iconica rivista del pensiero femminista inglese del secolo scorso, che sfidava gli stereotipi di genere attraverso un uso creativo e non conformista del linguaggio.
Il magazine cessò le pubblicazioni nel 1993 ma, con quel titolo biblico a rimandare a Eva e alla costola da cui era stata generata, lasciò un segno sulla società Oltremanica. Tale che un’istituzione come la British Library, la Biblioteca nazionale del Regno Unito, ha digitalizzato tutti i numeri nel 2015.
Con questo cappello, dunque, assisto alle Quirinalizie, come tutti. E ai ripetuti tentativi, annunciati e subito vanificati, di trovare una donna per la presidenza della Repubblica.
Una “in gamba”, ci mancherebbe. Ché già specificarlo lascia trapelare l’eterno pensiero misogino italiano, ancorché di leader politico. Anzi, “kingmaker”, cioè l’artefice di alte nomine nel gergo politichese. Anglismo mai visto declinare al femminile, almeno in Italia, “queenmaker”. Così siamo, in questo Paese.
Comincia il gioco delle parti: la trincea e l’assalto, i veti incrociati, gli azzardi e il logorio fino allo sfinimento. Vale anche per gli uomini. Ma solo per le donne si entra nel dettaglio del merito. Perché non si cerca “una donna in quanto donna”, ma una “capace”, con un curriculum al di sopra di ogni sospetto. E si percepisce l’imbarazzo di questi “kingmaker” che non sanno neppure con quali parole affrontare il tema dell’opzione donna. Figuriamoci se sanno una banalità come quella che la lingua che si parla rivela la realtà che si vede. E viceversa.
“Anime morte”, come nel romanzo di Gogol, il romanzo-simbolo del vuoto morale della Russia zarista, del punto più basso che l’Impero toccò circa due secoli fa, intorno al 1820, in un governatorato di provincia popolato di mediocri e truffatori, piccoli notabili e proprietari terrieri, tutti così scarsi da farli sembrare più morti dei servi oggetto delle trattative.
Anime morte al Parlamento della Repubblica. Con Sallusti, giornalista di destra, retroscenista politico di lungo corso, che rivela in Tv papale papale: “Sono state le donne in Parlamento a capitanare e aizzare la faida contro Maria Elisabetta Alberti Casellati”, presidente del Senato, candidata ufficialmente dalla destra. “Nessuno lo dice perché è politicamente scorretto e poco dimostrabile”, aggiunge. Anche se per la verità i giornaloni qualcosa avevano lasciato trapelare sull’assenza di empatia tra Maria Elisabetta e il suo schieramento, donne, ma anche uomini, prima ancora che con il resto del paese.
A questo punto s’avanza un’altra Elisabetta, con un curriculum di ferro in un guanto di diplomatico velluto. E’ Elisabetta Belloni, nominata pochi mesi fa da Draghi al vertice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, la prima donna a capo dei Servizi segreti, dopo una lunga e proficua carriera alla Farnesina. Beppe Grillo cinguetta frivolo: “Benvenuta Italia”. Così chiama Elisabetta Belloni. Ma anche lei finisce nel tritacarne del meccanismo che porta all’elezione del capo dello Stato. Meccanismo barocco come solo in Italia.
E forse ha ragione Rosy Bindi, democristiana di razza, che in Tv dichiara: “Anche questa volta è stata strumentale la tirata in ballo delle donne. Forse prima o poi una partita vera la giocheremo”. E scherzando aggiunge: “Magari è il nome Elisabetta che non andava bene”, lei che, da buonissima cattolica qual è, sa che Elisabetta è nella cerchia dei Santi più vicini al Signore.
Ma è interessante osservare cosa avviene in parallelo sui social, spaccato rissoso delle contraddizioni del Paese. Perché Belloni fa storcere il naso a Renzi e Letta, questa volta accomunati. Ma al contempo viene acclamata sui social, soprattutto dalle donne della sinistra illuminata e illustrata. Quella, per intenderci, “radical chic” che oggi si chiama con un termine più alla moda “hipster”.
Quelle ragazze che, come me, hanno vissuto magari di striscio il ’68 ed erano giovani donne nel ’77. La generazione dei collettivi femministi, delle sedute di autocoscienza, de “l’immaginazione al potere”, di “una risata vi seppellirà”. Le ragazze che hanno animato cortei, che hanno attraversato gli anni di piombo e vissuto da vicino la notte della Repubblica, le stragi di un Paese “senza giustizia e senza verità”. Ecco, per questa generazione, quando si parlava di Servizi era quasi d’obbligo aggiungere “deviati”. A torto o a ragione.
Quanto è stata lunga la marcia per approdare al plauso incondizionato di una donna, con un eccellente curriculum tecnico, designata a capo dei Servizi segreti da un presidente del Consiglio, a sua volta tecnico della finanza globale, nominato dal presidente della Repubblica e finora mai messo alla prova del voto?