Tutti gli armadi da aprire

L'ex governatore Nello Musumeci e il suo successore, Renato Schifani, durante il passaggio di consegne (foto M.Palazzotto)

Che fine hanno fatto i due termovalorizzatori promessi da Musumeci? Per l’ex presidente della Regione avrebbero dovuto “liberare la Sicilia dalla schiavitù delle discariche, una situazione che è resa ancora più pesante per la contiguità con ambienti spesso mafiosi e spregiudicati”. Il tema, divenuto una bandiera della campagna elettorale di Schifani, servirebbe a contrastare le forme di illegalità che si annidano, da almeno un ventennio, nel settore di rifiuti. E che emergono anche dall’ultimo rapporto Ecomafie di Legambiente. Il maggior numero degli illeciti ambientali (il 44 per cento), sia che essi discendano dal cemento o dalla monnezza, avvengono nelle quattro regioni più permeate da infiltrazioni mafiose: Campania, Puglia, Calabria e, ovviamente, la Sicilia. Il settore dei rifiuti, nel corso dell’ultimo anno, è quello che ha registrato il maggior numero di arresti (287), con un incremento del 25,9% rispetto al 2020. Ma anche di rifiuti sequestrati. Nel complesso, ammontano a 2,3 milioni di tonnellate: l’equivalente di 90 mila tir incolonnati dalla Calabria alla Svizzera.

Sul ciclo dei rifiuti si abbattono – anche nell’Isola – numerose inchieste per corruzione: l’ultima, risalente al novembre scorso, riguarda un funzionario della Regione che avrebbe agevolato un imprenditore a ottenere le autorizzazioni ambientali in tempi rapidi. Come? Intascando favori, sotto forma di investimenti, per un paio di società amministrate dal figlio con sede a Milano. E’ quello che sostiene la Procura di Palermo.

Attorno al caos autorizzativo si è aperta una disputa a Palazzo d’Orleans: il presidente Schifani, infatti, ha manifestato più volte l’intenzione di riformare la commissione Via-Vas, l’organo tecnico presieduto da Aurelio Angelini (nominato da Musumeci) incaricato di passare al setaccio le richieste dei privati, compreso il rilascio delle autorizzazioni per l’apertura o l’ampliamento delle discariche. In attesa che si esauriscano i tempi dell’Avviso utile ad aggiornare l’elenco dei soggetti in possesso dei requisiti per la nomina dei componenti, la giunta dovrà predisporre un disegno di legge da sottoporre alle commissioni e al parlamento.

Da anni, in Sicilia, il sistema si fonda su una perenne dipendenza dai cosiddetti “signori delle discariche”, che in assenza di altre tipologie di smaltimento, hanno accentrato potere e ricchezza nelle proprie mani, beneficiando di una certa magnanimità da parte dell’amministrazione. Come nel caso della proroga decennale concessa alla Oikos, la società della famiglia Proto, per il mantenimento della discarica di Motta: “E’ stata una follia autorizzare un impianto vicino a due centri abitati”, disse Musumeci, nel 2019, avviando al contempo un procedimento di revisione della Via (valutazione d’impatto ambientale). Solo l’estate scorsa il Tar ha imposto la chiusura della discarica, trasmettendo gli atti in Procura, e costringendo molti comuni del comprensorio a cercare nuovi posti in cui smaltire la frazione indifferenziata. Con tutte le difficoltà del caso.

Eppure i privati, gioco forza, hanno rappresentato la panacea di tutti i mali per i sindaci che rischiavano di essere inghiottiti dalla monnezza. Nonostante un operato non sempre limpido (come dimostra l’inchiesta ‘Mazzetta sicula’ che ha ridotto Sicula Trasporti, l’impero dei Leonardi, in amministrazione giudiziaria). Dalle conclusioni della commissione Antimafia di Claudio Fava emerge la percezione del “vassallaggio a cui è stata costretta in questi anni la funzione amministrativa, con procedimenti sensibili di cui pochi o nessuno avevano contezza, dirigenti delegati solo ad apporre la loro “firmetta”, giunte di governo spesso distratte o condizionate da presenze istituzionali esterne alla Regione. L’esito è stato quello d’aver conservato la centralità del conferimento in discarica come punto d’arrivo obbligato dell’intero ciclo, garantendo ai pochi proprietari delle poche piattaforme private altissimi margini di profitto”. Più in generale “la governance regionale sul ciclo dei rifiuti è stata spesso ostaggio di un gruppo di imprenditori che hanno rallentato, anche per responsabilità di una politica compiacente, ogni progetto di riforma che puntasse a un’impiantistica pubblica, con la conseguenza che l’unico esito possibile dell’intero ciclo resta oggi il massiccio conferimento in discariche private”.

Musumeci ha provato a spostare l’asticella, pubblicando una manifestazione d’interesse per la realizzazione di due termoutilizzatori (in project financing, cioè con la gestione affidata ai privati) che ha registrato l’adesione di sette diverse società. Per un affare da oltre un miliardo. Da febbraio, però, non ci sono stati passi avanti e “la gara per l’affidamento della concessione”, che avrebbe richiesto sei mesi di tempo, non è mai stata ultimata. Schifani ha detto che si sarebbe informato e a più riprese: l’ultima volta il 22 novembre, quando ha ribadito che “la scelta strategica di realizzare i termovalorizzatori è ineluttabile per permettere alla Sicilia di risolvere il problema rifiuti in via definitiva. Bisogna lavorare con velocità su questo fronte”.

Anche nel corso delle dichiarazioni programmatiche dello scorso 1° dicembre, a palazzo dei Normanni, il governatore si era mostrato coerente con l’impegno assunto in campagna elettorale: “In Sicilia sono indispensabili due termovalorizzatori, uno nella parte occidentale e uno in quella orientale. Si tratterebbe di impianti idonei a trasformare i rifiuti in Energia salvaguardando al contempo la collettività dal rischio inquinamento. Chiederemo al Governo nazionale l’approvazione della cosiddetta “norma Gualtieri” voluta per Roma, che consente ai sindaci delle due Città metropolitane coinvolte (Catania e Palermo, ndr) di avere poteri speciali idonei a sveltire le procedure”. E aveva aggiunto: “E’ inaccettabile sperperare denaro pubblico per trasportare rifiuti all’estero, lo ritengo del tutto inaccettabile”.

Ma i termovalorizzatori, fin qui, restano soltanto un manifesto elettorale. Zero atti concreti, niente di niente. Persino l’assessore all’Energia Roberto Di Mauro, in una delle prime dichiarazioni dal suo insediamento, si era posto il problema della sostenibilità economica: “Non vorrei che i ritardi sulla pubblicazione dei bandi per costruire i due termovalorizzatori – aveva detto – siano dovuti alla mancanza di un business plan. Questi impianti hanno dei costi di gestione altissimi” che andrebbero sostenuti “con la tariffa di smaltimento” a carico dei Comuni. “Credo che senza il contributo pubblico venga a mancare la convenienza a realizzarli”. Il problema, adesso, è capire dove si sia incagliato il processo. E soprattutto valutare, come direbbero i grillini, il rapporto costi-benefici.

La notizia degli ultimi giorni, relativa alla mega parcella da cinque milioni che la Regione dovrà sborsare a due avvocati, tra cui l’ex assessore Russo, grida vendetta e induce alla cautela. I legali difesero la Regione nella causa coi colossi privati che si videro revocare il bando per la realizzazione di quattro termovalorizzatori in epoca lombardiana. E nonostante il contenzioso fosse terminato a zero, gli avvocati decisero di rivalersi sui privati, che chiamarono in causa la Regione (costretta a pagare di tasca propria). Un giro strano e inquietante su cui Schifani vuole vederci chiaro: ieri la giunta ha deliberato la richiesta di un parere al segretario generale della Regione, avvocato Maria Mattarella, dopo aver già chiesto la trasmissione degli atti per approfondire la vicenda “in tutti i suoi risvolti”. Se il governatore, come pare, deciderà di riaprire gli armadi di Palazzo d’Orleans, lo faccia fino all’ultimo cassetto, quello meno impolverato. E spieghi dov’è finito il progetto dei termovalorizzatori lanciato da Musumeci a pochi mesi dalla fine del suo mandato.

I Cinque Stelle hanno già bussato alla sua porta: “Nella terra di Pirandello la questione degli inceneritori non poteva fare eccezione. La vicenda è quantomeno paradossale: non hanno bruciato rifiuti perché non ci sono, e meno male, ma intanto rischiano di bruciare montagne di soldi dei siciliani. La cosa assurda è che di tutte queste scelte sbagliate, perché di sbagli nei numerosi passaggi ce ne saranno, a pagare sarà sempre Pantalone, cioè i siciliani. E questo, oltre che essere profondamente ingiusto, è incredibile”. Sipario.

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