La batosta in Umbria per Matteo Salvini è stato un pessimo risveglio. “La fase brutta è alle spalle, si torna a cavalcare l’onda”, aveva confidato entusiasta all’alba del 6 novembre ai fedelissimi Claudio Durigon e Massimiliano Romeo. Era il giorno del trionfo di Donald Trump e la narrazione globale scommetteva sul grande ritorno del capo leghista. Muscoli gonfi e futuro radioso. Tanto più che il quadro astrale di Salvini appariva perfetto: The Donald alla Casa Bianca, Vladimir Putin più vicino alla vittoria, i sovranisti e l’ultradestra in avanzata in tutta Europa. A cominciare dai neonazisti di Alternative für Deutschland, con la Lega nel gruppo dei Patrioti assieme ad altri amiconi del Capitano: la francese Marine Le Pen, l’ungherese Viktor Orbán, l’olandese Geert Wilders, solo per fare qualche nome.
Invece, per la gioia di Giorgia Meloni che non ama avere nemici a destra, figurarsi se in salute, Salvini rischia di diventare il brutto anatroccolo del sovranismo mondiale. E pensare che era stato lui, incassando alle elezioni europee del 2019 ben il 34,3% dei voti (Giorgia all’epoca vivacchiava al 6,4%) il precursore dell’avanzata dell’ultradestra in Europa. Il segno che anche quelli che oggi surfano l’onda, a breve potrebbero ritrovarsi a mollo. In pieno riflusso. Ma c’è da dire che Salvini, a colpi di mojito e travolto dalla sindrome del Papeete, non si è aiutato. No davvero.
I risultati in Umbria sono devastanti. Il segretario della Lega, vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, ha difeso con i denti e con le unghie la “sua” governatrice Donatella Tesei. Meloni gli aveva suggerito di desistere: “E’ debole, non ha fatto bene…”, gli aveva sussurrato. Ma niente. Salvini, che aveva già perso la Sardegna e dunque si attaccava all’Umbria per non scomparire dal Centro-Sud d’Italia, è andato avanti a testa bassa. Ha fatto una campagna elettorale tutta d’attacco, anche in Emilia Romagna, con la convinzione che mettere le vele al vento del trumpismo gli avrebbe garantito la resurrezione. Tant’è che ha parlato di “zecche rosse”, di “giudici comunisti”. Ma non ha funzionato. Continua su Huffington Post