“Turlupinare v. tr. [dal fr. turlupiner, prob. connesso con il nome della setta dei turlupins (v. turlupini), che passò a indicare «chi scherza sulle cose di religione, o che ama fare beffe di cattivo gusto»; Turlupin fu poi nome d’arte di un attore fr. di farse, Henry Legrande († 1634), noto anche come Belleville]. – Raggirare, ingannare beffando la buona fede o l’ingenuità altrui: ti sei fatto t.; ti hanno turlupinato, quest’orologio è una patacca!” (Cit Treccani.it/vocabolario)
Fra poco, ma andrebbe già benissimo adesso, il comitato scientifico della Treccani, o anche l’accademia della Crusca, o anche il testo di una canzone di Fedez, potrebbe autorevolmente inserire fra i sinonimi del verbo che evoca Monsieur Turlupin anche “pontedimessineggiare”.
Ultimamente il verbo pontedimessineggiare è stato declinato a iosa nelle più alte sedi istituzionali come allenamento alla nuova edizione di “LOL-Se ridi sei fuori” che non avrà come protagonisti comici ma politici. E occorre dare atto che chi s’è esercitato nella discussione sul ponte ha mostrato talento nel non sorridere da dar invidia a Lillo, Elio, e Frank Matano.
Ma siccome i futuri concorrenti vogliono prepararsi al meglio è arrivata la nuova trovata: la relazione della Commissione di Tecnici istituita presso il ministero delle infrastrutture. E’ stato un colpo basso per chi cerca di non scoppiare in crasse risate, ma i politici stanno resistendo e s’accapigliano e s’inalberano e s’irritano e s’offendono. Perché cosa ha detto la Commissione dopo 8 mesi di lavoro… cioè solo 8 mesi, il computer “Pensiero Profondo” di “Guida Galattica per autostoppisti” per trovare “la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto” (che in confronto a “si può fare il ponte?” è come chiedere che ore sono) ci mise 7 milioni e mezzo di anni… cos’ha detto la Commissione? Ha detto che il ponte si può fare (“esticazzi”, direbbero a Roma), e si può addirittura in due modi. Uno è quello per il quale si è studiato anni e anni, per il quale hanno lavorato i meglio ingegneri del sistema solare, che è stato lodato da tecnici e perfino dall’Unione Europea (e ho detto tutto) ed è il ponte a una campata. L’altro modo è quello a tre campate, cioè a occhio con due pilastroni piantati in mezzo allo stretto. E questo a tre campate alla commissione dopo nemmeno 9 mesi di gestazione gli pare quello migliore.
Cosa dice la Commissione ai siciliani in pratica? Avete un progetto pagato con i soldi di tutti gli italiani che ci hanno messo decenni a farlo e che ha tutti i bolli e i lavori si possono praticamente iniziare dopodomani? Bene, buttatelo via. Vi piace questo disegnino a tre campate? No? Vabbè a noi sì, più del progetto che potete iniziare a farlo dopodomani. Quindi noi consigliamo di iniziare una rapida trafila progettuale-autorizzativa-burocratica nazionale ed europea, che nell’arco massimo di vent’anni porterà all’autorizzazione finale e quindi, di lì ad altri 20 anni, alla realizzazione del ponte. Forse, se nessun governo, nell’arco di questo breve lasso di tempo, se ne pentirà, come è già accaduto.
Ma i siciliani sono d’accordo. Si lasciano turlupinare consapevolmente. Davvero a Roma pensano che laggiù dove “è la chiave di tutto”, non s’era capito che prima il tunnel di Conte, ora il ponte a tre gambe di Draghi, sono patetici, e perfino un punto volgari, esercizi di “palla in tribuna”. Non ci voleva un loquace Giovannini (nella foto) e una velocissima commissione per confermare quello che Tomasi di Lampedusa scriveva quando il ministro non era ancora nato: “In Sicilia non importa far male o bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’”.
E non pensate per un attimo, voi romani, d’essere più furbi; noi veniamo “dagli esattori bizantini, dagli emiri berberi, dai viceré spagnoli”. L’idea del ponte ci emoziona ma non ci crediamo.
Il peccato del “fare” in Sicilia, i governi romani, come quelli piemontesi d’antan, non l’hanno mai commesso.