Nonostante gli oltre 2,2 milioni spesi al Festival di Cannes per produrre la mostra fotografica sulle donne e il cinema; nonostante il Giro d’Italia abbia varcato più volte lo Stretto per le sue passerelle; nonostante la promessa di un pernottamento gratis ogni tre; nonostante tutto questo, e molto altro, il turismo in Sicilia s’è inceppato. Lo dimostrano i dati sulla prima decade di dicembre, che confermano un trend in diminuzione rispetto a ottobre e novembre (alberghi pieni al 60%), ma soprattutto la polemica irreale sul caro voli. Che al netto delle dichiarazioni di guerra di Schifani, è un problema da sempre. L’equazione ‘pochi voli, prezzi alle stelle’ non è una novità di questo Natale. Anche se i prezzi, per la guerra e il caro energia, sono ulteriormente schizzati. Il governo Musumeci si era occupato di questa piaga senza costrutto, tutt’al più organizzando degli autobus per recuperare studenti e lavoratori fuorisede al Nord, costretti a una traversata eroica.
Segno che la politica siciliana, laddove conta, non ha voce. Emette un rantolo ogni tanto. Ma l’incapacità di destagionalizzare il turismo – a Taormina e Cefalù molte strutture ricettive sono ancora chiuse in attesa di Capodanno – è riconducibile ai governi che, forse, non hanno fatto abbastanza per destagionalizzare, parola di cui molti si riempiono la bocca. O di rendere la Sicilia accessibile sotto il profilo della viabilità e dei servizi, come dimostrano le difficili condizioni in cui versano le autostrade e le strade interne. Il fatto nuovo è che Renato Schifani per rientrare da Roma a Palermo, mercoledì prossimo, dovrà imbarcarsi a Napoli. Su una nave. Perché a bordo degli aerei non ha trovato posto. Per questo gli è scattata la molla: una bella denuncia all’Antitrust per sollevare il caso di un “cartello” fra Ita Airways e Ryanair sui voli da e per la Sicilia. Le compagnie, specie la low cost irlandese, si adeguano alle regole ferree della domanda e dell’offerta. Saranno state ingorde e poco sensibili (Ita, addirittura, si dice “sorpresa” dal numero delle richieste). Ma quello che manca, nel tempo, è la presenza della politica.
Anche nel corso dell’ultima legislatura si sono succedute una serie d’iniziative sfortunate, come la proposta di una “continuità territoriale” per gli aeroporti di Catania e Palermo, sul modello di Comiso e Trapani. Peccato che al ‘Pio La Torre’ e al ‘Vincenzo Florio’, a distanza di qualche mese dalla chiusura di Alitalia e da una sentenza del Consiglio di Stato favorevole a Ryanair (contro l’imposizione degli oneri di trasporto pubblico), nessuna compagnia operi in regime di continuità, abbattendo le tariffe dei voli per i residenti. Ma tornando al turismo, la mega campagna ‘SeeSicily’, partorita dall’ex assessore Manlio Messina e costata 75 milioni, prevedeva l’abbattimento del costo dei voli per chi volesse raggiungere l’Isola anche fuori stagione. La previsione era di quindici milioni ad hoc: qualcuno sa niente? Ovviamente il salasso a cui devono sottoporsi i viaggiatori sotto le feste, scoraggia non solo i fuorisede di ritorno, ma anche i potenziali turisti che volessero approfittare di qualche giorno di relax in una terra, comunque, incantevole. Che però è ostaggio delle sue innumerevoli contraddizioni.
Qualche settimana fa, prima che riesplodesse lo scandalo del caro-voli, la Regione ha presentato la campagna televisiva di fine anno “per promuovere la destagionalizzazione dei flussi turistici e gli incentivi previsti dal programma See Sicily, varato dal precedente governo regionale e valido sino a settembre 2023, che prevede sconti su pernottamenti e trasporti per chi sceglie di trascorrere almeno tre notti nell’Isola”. E’ l’ultima tranche dell’ambizioso progetto partito con la Finanziaria di guerra 2020, quella per contrastare gli effetti della pandemia. Il neo assessore Scarpinato ha spiegato che “proseguiamo nella promozione turistica dei tesori culturali e paesaggistici di cui è ricco il nostro territorio, per valorizzarli anche al di fuori della “classica” stagione estiva”.
Il budget complessivo è di circa 7 milioni di euro, a valere sulle risorse del Po Fesr 2014-2020, alla base dello specifico avviso di manifestazione d’interesse pubblicato dall’assessorato al Turismo, sport e spettacolo. Il Piano prevede tre linee d’intervento: le iniziative sulle emittenti televisive nazionali con spot, realizzazione di programmi ad hoc sulla Sicilia, partnership con programmi specifici (come “Ballando con le stelle” di Rai 1); la campagna visuale su impianti fissi nelle grandi stazioni ferroviarie italiane, che ha preso il via lo scorso ottobre; la campagna all’estero (Francia, Germania e Stati Uniti) presso aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana.
Un grande dispendio economico mentre, nel cuore dell’Isola, si fatica a collegare Catania e Palermo con un’autostrada decente. E non è benaltrismo, ma il racconto di chi l’A19, qualche giorno fa, ha provato a percorrerla a bordo di un tir per raccontare l’esperienza ai lettori di Repubblica: ci ha messo quasi 4 ore, attraversando 52 cantieri e molteplici deviazioni. Roba da impazzire. Sul tema era intervenuto Musumeci, provando a spiegare alla platea di Taormina, durante la serata di gala di Taobuk, che era colpa dell’Anas. La reazione? Una valanga di fischi. I siciliani sono stanchi di sentirsi dire che è sempre colpa di qualcun altro. Esistono le autostrade gestite da Anas, quelle gestite dal Cas (come la Catania-Messina), e poi le strade gestite da nessuno. Sporche, dimenticate, finanche sdrucciolevoli e pericolose. Le strade secondarie, ridotte a trazzere, sono un’autentica vergogna di cui nessuno si occupa. Né lo Stato né tanto meno la Regione. Spetterebbe, nella maggior parte dei casi, alle ex province che di fatto non esistono più. Un Natale fa, su un percorso ghiacciato (ma obbligatorio, vista la chiusura di uno svincolo autostradale), un tir finì fuori strada e ci restò a lungo.
I turisti si accorgono di queste cose, perché sono costretti e percorrerle, e perché non sono scemi. Ad esempio quelli diretti all’ex Donnafugata Golf Resort di contrada Piombo, in provincia di Ragusa, che ha chiuso i battenti tre anni fa a seguito di un fallimento mai chiarito. Era un’autentica perla, che gli stranieri arricchivano di passione e di denari (pur fra le mille insidie del percorso per arrivare a destinazione). O quelli che si muovono lungo le vie della monnezza per giungere al Club Med di Kamarina, nel territorio di Scoglitti (Vittoria), che dal primo gennaio cesserà di esistere. Non c’è l’accordo fra i proprietari della struttura e la multinazionale francese, che avrebbe voluto un reset al villaggio e renderlo più moderno. Magari la politica avrebbe potuto fare un cenno: non tanto nel caso specifico, ma più in generale, favorendo gli investimenti tramite incentivi o sgravi contributivi. Trovare soluzioni: fanno questo di mestiere, no? Invece sarà l’ennesima occasione persa. L’ennesima vittima di un sistema che non fa rete, ma si affida unicamente alla bellezza e agli sperperi (di denaro pubblico) per sopravvivere alla competizione.
Al netto delle eccellenze, che esistono da sempre, e dei discorsi ancora embrionali sulle Zes, le zone economiche speciali, la Sicilia non garantisce un approdo certo per chi ha voglia di fare impresa. Non basta aver spalancato le porte alla scalata di Urbano Cairo, e al suo Giro d’Italia targato Rcs Sport; non basta aver pompato l’immagine dell’Isola sui led delle stazioni ferroviarie; né aver congegnato spot e campagna pubblicitarie per garantire introiti milionari a potenti lobby del Nord. Non basta, se poi le imprese falliscono, gli aerei non arrivano, le strade sono impercorribili, e i treni che più lenti non si può. Non basta indignarsi a dieci giorni dal Natale per i prezzi dei voli, o anche le buone intenzioni rischiano di apparire populiste. Che soluzione potrà mai trovare Ita, la compagnia di bandiera (che va verso la privatizzazione), in un margine temporale così ristretto, quando una larga fetta dei siciliani ha deciso di non tornare e una larga fetta di turisti ha preferito altre mete? Non resta che mangiarsi le unghie e sperare nel prossimo treno. Sempre che ne arrivi uno.