“Togliete il giocattolo dalle mani di Fratelli d’Italia”. E’ la richiesta accorata del Movimento 5 Stelle, più che condivisibile, dopo che la Commissione Europea ha deciso di non rimborsare alla Regione 10,7 milioni di “spese inammissibili” relative al programma SeeSicily (il tutto si traduce in un buco di bilancio che andrà colmato). Ma lo scandalo che sta investendo l’assessorato al Turismo, regno del Balilla e dei suoi successori, va oltre. E’ di queste ore, infatti, la denuncia di 103 associazioni che denunciano “disuguaglianze e disparità di trattamento nelle misure di sostegno allo spettacolo dal vivo in Sicilia”. Lamentano, in pratica, una spartizione arbitraria di 7,5 milioni ad appena sedici associazioni private senza alcun bando di gara. La pezza d’appoggio – per l’assessore Amata – è una norma inserita nel “collegato” alla Finanziaria approvato all’inizio di gennaio all’Ars, che però fa seguito a un altro provvedimento del dicembre scorso in cui, secondo una logica marchetta-centrico, la Regione aveva “generosamente stanziato 5.630.000 euro per eventi natalizi a vario titolo, sempre a vantaggio di un ristretto numero di soggetti pubblici e privati”.
Questi stanziamenti, che avvengono spesso per decreto e senza alcuna evidenza pubblica, vengono utilizzati prevalentemente per finanziare festini e far gonfiare il petto a deputati come il siracusano Riccardo Gennuso, che giusto qualche sera fa, nella borgata di Santa Lucia, esaltava il pubblico presente al grido di “concerti gratis per tutti”. Come nella peggiore versione di Cetto Laqualunque. Gratis fino a un certo punto, perché l’iniziativa che ha concesso la scena al parlamentare di Forza Italia, era costata 97 mila euro (anche quella a valere sul “collegato”). In un Paese normale saremmo di fronte a uno sperpero di denaro pubblico, da condannare in tutti i modi. Ma l’Italia non è un Paese normale, figurarsi la Sicilia. Qui ci si gonfia il petto. E neppure il presidente della Regione, di fronte a queste manifestazioni di prepotenza, ha aperto bocca. Nemmeno per condannare – come invece fece all’epoca dei fatti di Cannes – il “danno d’immagine” per la nostra terra.
Nella nota dei 103 ribelli, emerge un altro dato clamoroso: cioè che alcune delle fortunate associazioni che hanno beneficiato dei contributi (“dai 97 mila ai 145 mila euro ciascuno. In un caso si arriva fino a 194 mila e in un altro fino a 242 mila”) addirittura «sono state costituite nel 2023 e hanno iniziato la loro prima attività nella medesima data del 21 giugno 2023; mentre la gran parte non risponde ai criteri di storicità che di norma sono d’obbligo per essere ammessi al sistema di finanziamento Furs”. Il Furs è il fondo unico per gli spettacoli, con quasi 7 milioni in palio, e una guerra senza quartieri per accaparrarsi una fetta della torta (ma almeno vi si accede attraverso procedure di evidenza pubblica). Qui, invece, la trasparenza non esiste, ma esistono solo calcoli politici (gli unici che pagano sotto elezioni): sono i deputati a stabilire quali associazioni, e chissà per quale merito, possono attingere al bottino, e l’assessorato al Turismo, stando alla Amata, opera da semplice cassiere.
Schifani potrebbe chiedersi se è il momento di cambiare sistema. Falcone, invece, da assessore all’Economia, dovrebbe essere turbato da queste logiche clientelari ed evitare che ogni Finanziaria (ormai una legge omnibus) si trasformi in una riserva di caccia. L’assessorato al Turismo, invece, sembra una entità in disarmo. Non può pretendere trasparenza e giustizia dopo aver fatto lievitare, sempre nell’ambito del programma SeeSicily, i costi destinati a promozione e comunicazione di sei volte (il plafond è passato dai 4,8 milioni previsti dalla prima delibera ai 23,8 dell’ultima) per garantire il palcoscenico non solo al brand Sicilia ma soprattutto ai suoi interpreti; specie dopo aver fatto credere che la mega operazione servisse a rilanciare le imprese turistiche dopo l’incubo Covid.
Schifani ha aperto gli occhi solo quando, a seguito della prima stangata da parte dell’UE, gli uffici di via Notarbartolo hanno cominciato a scrivere alle strutture ricettive per chiedere la revoca dei contratti e la restituzione delle somme relative ai voucher rimasti nei cassetti (richiesta che secondo l’Avvocatura generale non ha motivo d’esistere). Il caso vuole che a guidare la classifica dei bonus non fruiti, rispetto ai piccioli incamerati, sia stato il Brucoli Village (199 mila euro ricevuti), dove lo scorso ottobre l’ex assessore al Turismo Manlio Messina, oggi vicecapogruppo di FdI alla Camera dei Deputati, ha organizzato la tre giorni “Italia, le radici della bellezza – Turismo, cultura, enogastronomia, sport” (che gli è valsa la riconciliazione con Schifani – ricordate il clamoroso bacio della pantofola? – dopo lo scandalo e le male parole di Cannes).
Le mere coincidenze servono ad accrescere il peso di uno scandalo che, per il momento, non tange la maggioranza. Spesso distratta, ma stavolta assente (per la campagna elettorale). L’inchiesta della Procura regionale della Corte dei Conti, diretta da Pino Zingale; l’indagine della Procura della Repubblica di Palermo; il monitoraggio della Commissione Europea, che potrebbe dichiarare “inammissibili” altri 10 milioni (tuttora sottoposti a verifiche); l’eventuale danno all’erario, oltre che al bilancio della Regione, che potrebbero prefigurarsi. Sono temi che non toccano le corde e la sensibilità di un centrodestra tenuto sotto scacco da un partito, anzi da una sola corrente: quella turistica di FdI. A cui nessuno riesce ad opporsi, neppure nelle alte sfere.
Invero, le occasioni per procedere a una rettifica dei “metodi”, o a un riequilibrio delle forze in campo, non sarebbero mancate. Cannes fu il principio di tutto: la decisione di affidare 3,7 milioni, senza gara, a una società lussemburghese, per realizzare una mostra fotografica su donne e cinema a Cannes, è stata impugnata persino dal Tar, che ha palesato una serie d’irregolarità (fra tutte, l’assenza del criterio di “esclusiva” utile a giustificare l’affidamento diretto). Schifani, dopo aver avvertito puzza di bruciato e lamentato il “danno d’immagine”, ritirò il provvedimento in autotutela, ma non ottenne nulla dal pressing su FdI: a stento lo scambio di caselle fra gli assessori Scarpinato e Amata, il primo destinato ai Beni culturali e l’altra al Turismo. Neppure la perfida iniziativa di Manlio Messina, atta a screditarlo pubblicamente, ottenne risposta dal governatore. Fino alla tregua di Brucoli.
Neppure la torbida vicenda legata all’Orchestra Sinfonica siciliana, rimasta commissariata per quasi due anni – con il sedicente Nicola Tarantino, già dirigente della Film Commission, al vertice – ha provocato un cambio di rotta da parte dell’Amministrazione. Tanto che la nomina del sovrintendente Andrea Peria, dichiaratamente irregolare (come appurato da una pronuncia dell’Ufficio legislativo e legale della Regione), si è protratta per quasi un anno, senza che nessuno alzasse un dito per segnalare il rischio maggiore: cioè che la Fondazione non potesse attingere al finanziamento di 11 milioni in virtù di una legge – regionale! – che vieta, se guidi la Sinfonica, di tenere il sedere in più poltrone. Che FdI continui a esercitare l’occupazione delle principali istituzioni culturali della Sicilia, oltre alla ricerca di un nuovo sovrintendente patriota per la Foss, lo dimostra il caso Federico II: con Patrizia Monterosso messa fuori gioco (con una Pec) nonostante i successi del suo settennato. Anche dalle parti di Palazzo Reale, per la guida della fondazione, circolano i nomi di esponenti (milanesi addirittura) di Fratelli d’Italia. Per uno spoils system sempre più a senso unico. La cultura è roba loro.