Chi di password ferisce, di password perisce. Non è dato sapere se Santi Cappellani, il 29enne catanese eletto alla Camera dei Deputati col Movimento 5 Stelle, conosca la storia della password per accedere al censimento del patrimonio immobiliare della Regione siciliana, custodito da un decennio buono sui server della Spi. I suoi compagni di partito, qualche mese fa, ci costruirono un’intensa campagna social, mettendo in ridicolo l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao, e la gestione complessiva degli immobili in capo all’Ente. Se Cappellani l’avesse conosciuta, o avesse chiesto informazioni ai colleghi dell’Ars, forse avrebbe evitato di tirare in ballo la medesima scusa – aver perso la password (“Non riesco ad accedere alle pagine che servono per caricare i bonifici” ha detto) – per giustificarsi, di fronte a se stesso e agli altri, per la mancata restituzione di parte dei guadagni da parlamentare. Una pratica ideata dai Cinque Stelle che si sta ritorcendo, specie in questa fase storica, contro il Movimento stesso.
Cappellani, il cui tempismo non depone a suo favore, potrebbe essere espulso. O meglio. Il deputato se n’è andato un giorno prima che il Collegio dei Probiviri si riunisse e decidesse di cacciarlo: “Non avrebbe senso rimanere in una squadra in cui non ci si riconosce più” ha scritto nella lettera di dimissioni. Studente di psicologia, ma anche manager nell’azienda di famiglia, l’enfant prodige di Montecitorio ha gettato la spugna: “Ci siamo imborghesiti, siamo finiti in una spirale di autoreferenzialità”. E’ uno di quei casi in cui la toppa è peggio del buco. Ma il Movimento è così: nato per contrastare le cattive abitudini della politica, finisce per rappresentarle tutte. E soprattutto a Catania – sarà frutto del caso, ma la coincidenza è curiosa – ha messo a nudo tutti i suoi difetti di fabbrica.
La città etnea di rappresentanti di governo ne ha avuti parecchi: dall’ex ministro della Salute, Giulia Grillo, passando da Nunzia Catalfo, entrata da poco nell’esecutivo. Nonostante a palazzo degli Elefanti, dopo il risultato modesto ottenuto alle ultime Amministrative, il M5s si è fatto riconoscere per un’altra fuoriuscita, quella dell’ex candidato sindaco Giovanni Grasso, docente universitario, a seguito di un audio incriminato. Una discussione fra lo stesso Grasso e il vicesindaco Bonaccorsi, finito in una chat privata, in cui la vittima del complotto è una grillina a cui bisognava dare una lezione per la sua intransigenza. Una caduta di stile che, in nome dell’onestà e del “non guardiamo in faccia nessuno”, ha costretto il professore a iscriversi al gruppo Misto, e a salutare il sogno pentastellato.
Eppure non è così difficile individuare i motivi che hanno spinto la città di Catania così in alto nelle gerarchie del Movimento: innanzi tutto i numeri, debordanti, alle ultime Politiche (poco meno del 50%), che hanno permesso l’elezione – fra gli altri – di Cappellani. All’uninominale i grillini hanno strappato tutti i seggi a disposizione (di cui cinque occupati da donne). E poi i buoni uffici dei meetup locali con Luigi Di Maio, che da buon capo politico, ha fatto le liste e scelto i suoi rappresentanti al governo del Paese. Giulia Grillo, eletta nel collegio di Acireale, è stata la nomina della prima ora. Con un ruolo importante: Ministro della Salute. Ha lavorato talmente bene la Grillo – pur in aperto scontro con le teorie della Lega – che il Movimento avrebbe voluto confermarla per il secondo giro di valzer, ma qualcosa è andato storto. Così a rimpiazzarla, in un altro ruolo di apicale importanza, è stata Nunzia Catalfo, diventata ministra del Lavoro. Aveva già le stellette appuntate al petto, avendo ricoperto per oltre un anno l’incarico di presidente della commissione Lavoro.
Pur essendo la Grillo una figura low-profile, all’indomani dell’esclusione ha fatto emergere un certo malcontento: “Politicamente non mi sono sentita veramente appoggiata dal mio capo politico – ha spiegato nel corso di un’intervista a Sky -, mentre quello che diciamo è il mio capo spirituale, Beppe Grillo, mi è sempre stato vicino”. E la Grillo, che col guru fondatore nonostante il cognome non è imparentata in alcun modo, ha lamentato di non essere stata “ascoltata da chi pensavo dovesse raccogliere le osservazioni di chi è da dieci anni nel Movimento”. Ha denunciato, insomma, un’azione di governo troppo schiacciata sulle posizioni leghiste, e ha rincarato la dose negli ultimi mesi, facendo emergere uno scontento forte per la gestione “verticistica” del M5s: “E’ inutile nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Bisogna ristabilire un maggior principio di trasversalità” con un “coinvolgimento maggiore degli attivisti e degli eletti a tutti i livelli”. E ancora: “Dobbiamo portare avanti un discorso di maggiore partecipazione e di revisione del nostro Statuto. Di Maio o non Di Maio, non possiamo sempre dipendere da un “magnifico” che ci porta soluzioni”. Servono ruoli e responsabilità condivise. Una linea che accomuna molti membri del Movimento 5 Stelle, che vivono male l’appiattimento degli ultimi mesi e le continue sconfitte elettorali. Oltre che la gestione stessa del partito (il palermitano Giorgio Trizzino, onore al merito, l’ha sempre detto che non si può essere capo politico e ministro insieme).
Tra i “falchi”, per ovvie ragioni, non c’è Nunzia Catalfo, l’ex sportellista della Formazione professionale, nominata Ministro del Lavoro (proprio al posto di Luigi Di Maio) nel Conte/2. La madre del reddito di cittadinanza, che adesso si ostina a difendere. Anche lei catanese, ha spiegato che fra le prime persone incontrate nei meetup – ha frequentato i Grilli dell’Etna – c’è proprio Giulia Grillo. E che non si è mai laureata perché ha preferito mettersi a lavorare. Diventata attivista politica alle soglie dei quarant’anni, la sua scalata è stata imponente. E la sua nomina nemmeno così a sorpresa. Una catanese per un’altra, anche se è cambiato l’indirizzo. Catalfo rappresenta la seconda anima siciliana dei Cinque Stelle di governo, oltre al solito Giancarlo Cancelleri. Intervistata poche settimane fa da “La Sicilia”, sancì la sua adesione al partito dei fedelissimi: “La leadership di Di Maio non è in discussione”. Poi, scostandosi da chi contestava Cancelleri per aver abbandonato un ruolo elettivo all’Ars e aver ottenuto un paracadute a Roma, si affrettò a chiarire che “la presenza di Giancarlo nel governo può rappresentare una grande opportunità anche per la nostra regione che da tantissimo tempo sconta un enorme ritardo sul fronte delle infrastrutture e dei trasporti”.
Dalla Grillo alla Catalfo, dalla Catalfo a Cappellani. L’ultima pagina del Movimento 5 Stelle catanese è quella più ingloriosa e comprende (anche) le posizioni borderline del senatore Mario Michele Giarrusso, che ha detto chiaramente di non voler restituire i soldi perché utili a pagarcisi gli avvocati nei processi a suo carico. Il caso più grave, però, resta quello di Cappellani: un allontanamento “coatto” per non aver rispetto le regole del partito che ha provveduto a farti eleggere. E che oggi cade sotto i colpi delle sue contraddizioni: “Quando sento l’espressione “pugno di ferro” rabbrividisco”, ha scritto nella sua lettera di dimissioni l’ormai ex deputato 5 Stelle. La parabola dei grillini trova in Sicilia il suo sfogatoio naturale. Da granaio di voti a emblema della disgregazione. La naturale perdita di consensi, alle ultime Europee, è stata contenuta. Ma fra presunte rappresaglie all’Ars sull’elezione del vice-presidente (smentite dal gruppo), dimostrazioni di tracotante disprezzo delle regole e attaccamento alla poltrona, non è più il Movimento di un tempo. Catania docet.