A tormentare il Fatto Quotidiano è però l’incontro con Matteo Renzi. Corrias definisce Micciché “fra i pupilli del primissimo Berlusconi, davanti al quale stava sull’attenti. E oggi lo è dell’ultimissimo Matteo Renzi, accanto al quale lo scorso ottobre divorava l’agnello delle Dolomiti lucane al burro d’arancia, attovagliato all’Enoteca Pinchiorri, Firenze, 250 euro a coperto, vini esclusi, sognando di cucinare con lui il prossimo “partito moderato”. Ideona”. Poi è un arrovellarsi sui trascorsi di Micciché, nato benestante “ma pigro. Padre alto dirigente del Banco di Sicilia. Lui studente da ultimo banco, il quotidiano Lotta Continua in tasca, i riccioli al vento di Mondello, bar, ristoranti, serate fino all’alba. Risultato: due volte bocciato. Università interrotta. Compiuti i vent’anni, il babbo si scoccia, lo ripulisce, gli infila una grisaglia con cravatta e lo piazza all’Irfis”. Poi l’avvento con Publitalia, nel 1984, grazie alla mediazione di Marcello Dell’Utri, richiamato in capo e in coda al pezzo, che lo premia dopo aver chiuso un importante contratto con l’Amaro Averna. Fino alle vicende personali più intime e alle rivelazioni più morbose: “Nella Palermo degli anni Ottanta il suo vizio è cosa nota”. Il giornalista si riferisce alla cocaina e a un episodio del 2002, quando un collaboratore di Micciché venne beccato con venti grammi all’ingresso del Ministero dell’Economia. Il racconto fa spazio ai sospetti, agli schizzi di fango. E’ una palla di neve che si appresta a diventare valanga. Senza più controllo. In perfetto stile Travaglio.
Paolo Cesareo
in Il sabato del villaggio
Travaglio furibondo con Micciché
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