L’ultima patacca ha i numeri di una targa. Se li ricorda bene il pentito nisseno Pietro Riggio che li annotò il giorno in cui vide arrivare a bordo di una Bmw l’ex poliziotto Giovanni Peluso a cui il collaboratore di giustizia attribuisce l’inaspettato ruolo di attentatore nella strage di Capaci. Ed invece la targa appartiene a un trattore. Altro che macchina, fine della storia.
Che figuraccia, l’ennesima, per il collaboratore di giustizia al processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia. Il racconto di Riggio naufraga. Si inceppa uno degli ultimi attrezzi di scena con cui si tenta di rimescolare le carte in un processo segnato irrimediabilmente, nel presente e nel futuro, dall’assoluzione definitiva di Calogero Mannino. L’ex ministro democristiano non è stato colui che diede avvio al patto fra mafiosi e rappresentanti delle istituzioni. Il motore della trattativa non si è acceso. Mai.
Da anni la ricostruzione dei pubblici ministeri di Palermo, e non solo, si sviluppa seguendo due traiettorie parallele. Di mattina nelle aule dei tribunali, di sera nei talk show televisivi e negli approfondimenti giornalistici. L’ultimo lo ha confezionato Report. Un lavoro come sempre ben fatto, che però porta sul palcoscenico di Rai 3, sempre e solo, voci note. Innanzitutto quelle dei magistrati, da Antonino Di Matteo a Roberto Scarpinato, passando per Roberto Tartaglia, oggi al Dap, che da anni rappresentano la pubblica accusa nei processi. Ed in quanto parte processuale offrono una chiave di lettura univoca. Non si coltiva il dubbio, specie quando ci si confronta con i pentiti smemorati. A Report è (ri)spuntato, in carne e ossa, Salvatore Baiardo, gelataio di Omegna che ospitò i fratelli Graviano, boss stragisti del rione Palermitano Brancaccio. Baiardo, oggi uomo libero, ripete le cose già dette sui rapporti fra Silvio Berlusconi e i boss, torna a parlare della storia dei miliardi della mafia investiti grazie al Cavaliere, su cui si indaga da decenni. Aggiunge la nota sulla vacanza dei Graviano in Sardegna vicino alla villa berlusconiana e, soprattutto, sostiene che ci siano più agende rosse di Paolo Borsellino, in mano a chi ha ancora le chiavi del ricatto allo Stato tre decenni dopo le stragi.
Su Baiardo in passato si è già indagato quando disse ai carabinieri di essere pronto a collaborare ma chiedeva soldi, tanti soldi, in cambio. Le sue informazioni, però, furono bollate dagli investigatori come “del tutto inattendibili”. Allora non valevano un solo euro dell’investimento che richiedeva, ma nella narrazione odierna che postula l’esistenza della Trattativa non c’è spazio per i tentennamenti. Per gli adepti della confraternita della trattativa Baiardo è il nuovo depositario dei segreti. L’articolo completo su ilfoglio.it