Traballa il carro di Musumeci

Il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci, e il segretario regionale della Lega, il senatore Stefano Candiani

Il cerchio magico di Nello Musumeci, quello che dovrebbe garantirgli il mandato bis a Palazzo d’Orleans, in realtà sta cominciando a sgretolarsi. La gestione dell’emergenza Covid, specie in questa seconda fase, ha creato non pochi malumori all’interno del centrodestra, e in modo particolare di Diventerà Bellissima. Che ha smesso di essere una “setta”, fedele nei secoli al governatore, e comincia a esternare qualche mal di pancia. Come quello di Stefania Munafò, coordinatrice del movimento a Palermo, che si è dimessa dalla carica in aperto contrasto col governo regionale: “Sta vagheggiando per fronteggiare la diffusione del virus”. Fra l’altro, senza aver “mai ottenuto un confronto costruttivo con chi avrebbe potuto fornire indicazioni utili a comprendere le reali difficoltà degli operatori sanitari medici, infermieri, tecnici e soprattutto dei cittadini e dei pazienti”.

Forse i ripetuti attacchi di Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, e la prospettiva di una mozione di censura all’assessore Ruggero Razza (che inizia ad attecchire anche fuori dai recinti delle opposizioni), stanno avendo l’effetto sperato: riuscire a scalfire l’intoccabilità del presidente della Regione. Lo aveva detto un vecchio saggio come Antonello Cracolici, qualche settimana fa: “Sono sempre di più quelli che, nella sua maggioranza, non vogliono più essere associati ai suoi fallimenti e iniziano a smarcarsi”. Ma non si pensava così presto.

La Munafò ha parlato di “scelte sociali inesistenti”, “totale mancanza di ascolto” e “risultati fallimentari”, specie in ambito sanitario. Sono tante, però, le voci contrarie a Musumeci e Razza, che gode ancora della “rinnovata e convinta fiducia” del presidente. La scintilla è arrivata una settimana fa, quando il Ministro Speranza – ma Musumeci ne era già al corrente – ha deciso di inserire la Sicilia in “zona arancione”. Il tentativo di ribellione del governatore, che sulle prime aveva chiesto a Roma di rivedere il provvedimento, è abortito quasi subito. Il tempo necessario a Razza per convocare una conferenza stampa e spiegare che l’impugnativa – richiesta a gran voce da Micciché e da Forza Italia – non conveniva a nessuno: “Per fissare un’udienza cautelare – aveva detto l’assessore, che di professione fa l’avvocato penalista – occorrono più di quindici giorni”. Quanto la durata del provvedimento in sé. E’ in quel momento che la Regione ha scelto di deporre le armi, provocando una forte delusione tra i ristoratori, ma anche nei principali alleati, che fino a poche ore prima sostenevano la necessità di chiedere una deroga a Roma per poter riaprire bar e ristoranti fino alle 22.

E mentre la messinscena sull’arancione si esauriva nell’arco di 48 ore, tutt’intorno al governo montava un altro tipo di malcontento. Se la Sicilia era arrivata a un passo dalla “zona rossa”, la colpa, secondo Pd e M5s, era di Musumeci e Razza: “Pur avendo meno ammalati Covid di altre regioni area gialla – era la versione di Giuseppe Lupo, capogruppo dem all’Assemblea regionale – la Sicilia non ha un numero adeguato di posti letto di terapia sub-intensiva e intensiva per garantire le cure necessarie”. Una tesi che riceveva la sponda implicita di altri partiti fra cui la Lega. In una nota di Candiani e Minardo, segretario regionale e deputato nazionale del Carroccio, i toni non erano affatto concilianti: “Se è vero che la classificazione delle regioni nelle tre zone individuate, si basa su parametri che includono la capacità del sistema sanitario regionale di assorbire e controllare l’incremento dei contagi ed il conseguente aumento dei ricoveri – si leggeva – bisognava pensarci per tempo” che, di certo “non difettava subito dopo il lockdown di marzo e aprile”. Sarebbe stato più opportuno “programmare e pianificare la dotazione di posti letto e la creazione di strutture straordinarie, per bene, in vista di una seconda ondata che non è mai stata solo presumibile ma da mesi ritenuta certa. Ed è inutile oggi puntare il dito”.

Di recente anche un’altra leghista, l’europarlamentare Francesca Donato, ci ha messo il carico: “Non è possibile affrontare questa seconda ondata dell’epidemia con l’improvvisazione istituzionale. La Sicilia rischia di uscire devastata dall’incapacità cronica di affrontare seriamente, con efficienza e programmazione, l’emergenza Covid come altre situazioni emergenziali già sperimentate in passato”. La tensione fra Musumeci e Diventerà Bellissima è esplosa in estate, quando ai ripetuti inviti del Carroccio a federarsi – fu Matteo Salvini in persona a indicare la via – il presidente della Regione, che il corteggiamento l’aveva condotto in prima persona per tanti mesi, rispose con un due di picche: “La Lega non è il mio partito e Salvini non è il mio leader”. Al netto dei processi della politica, che la pandemia ha rallentato, questa è una prova della reciproca diffidenza, che il virus ha addirittura accresciuto. Non vale solo per la Lega. Persino Fratelli d’Italia, che si astiene da qualsiasi commento, non ha gradito il declassamento in “zona arancione”, ritenuto il frutto dell’incapacità della Regione di incidere sui processi politici. Altro che complotto.

La prossima partita, senza tralasciare le scelte sul Recovery Fund, riguarda la mozione di censura a Ruggero Razza. Diciamolo chiaramente: le opposizioni non hanno i numeri per sfiduciare l’assessore. Specie se alcuni partiti come Italia Viva, alla fine, decideranno di sfilarsi. Ma la questione non è soltanto Razza contro i Cinque Stelle o il Pd. Se persino un deputato dei Popolari e Autonomisti, il capogruppo Carmelo Pullara, si dichiara pronto all’imboscata, vuol dire che il clima all’interno della maggioranza è arroventato: “L’assessore Razza piuttosto che infuriarsi e minacciare querele a chi dice che in Sicilia non ci sono posti letto – ha scritto Pullara in un post su Facebook – pensi ad arrivare al giorno della discussione sulla censura presentata da Pd e 5 Stelle con un atteggiamento costruttivo e più umile, magari in un’ottica collaborativa e di ascolto. Perché non deve pensare che il risultato alla fine della votazione possa essere così scontato”. Il deputato licatese, assieme a Marianna Caronia, aveva definito “inaudita” la scelta di Razza di non ammettere in audizione all’Ars i componenti del comitato tecnico-scientifico. E sembra avere il dente avvelenato nei confronti di Musumeci, che alle ultime elezioni di Agrigento è sceso in campo contro il suo candidato, Firetto.

Al netto dei franchi tiratori dichiarati – nei provvedimenti ad personam si vota in maniera palese – conterà molto la posizione di Italia Viva. Che non ha ancora stabilito una linea. Da un lato, il capogruppo Nicola D’Agostino, dichiara che “noi non la firmeremo”, riferendosi alla mozione di censura. “Non è il momento per buttarla in rissa politica”. Dall’altra, Giovanni Cafeo, spiega che “se necessario e per fare chiarezza, pur contestando il metodo, siamo pronti a votare la sfiducia a Musumeci e Razza”. Anche Luca Sammartino, da poco eletto nella cabina di regia nazionale dei renziani, è stato durissimo con la gestione degli ospedali (“Per colpa dell’incapacità di questo governo la Sicilia rischia il disastro”), ma non si è ancora pronunciato sul voto. Cosa che non fanno nemmeno i cinque deputati di Attiva Sicilia, gli ex grillini. Che, all’indomani della “zona arancione”, hanno chiesto al governo Conte di rendere pubblici i dati, ma non hanno mai osato riferirsi a Musumeci e Razza con aria di sfida.

Ergo, l’assessore alla Salute non è a rischio. Ma ciò non toglie nulla al brutto periodo di Musumeci, che ha visto sparire dai radar i suoi “grandi elettori” (da Saverio Romano a Raffaele Stancanelli), non ha mai avuto ‘sto gran feeling con la Forza Italia di Micciché (va meglio con la minoranza di Falcone), e barcolla nei rapporti con la Lega. Il Covid, autentico rifugio dei leader – da Zaia a De Luca: ci hanno guadagnato tutti in termini di consenso – si sta rivelando pieno d’insidie. Non basta mostrare rabbia e aplomb, furore e raziocinio, nelle mille apparizioni televisive se poi, a Palermo, non riesci nemmeno a confrontarti coi tuoi. Lo ha detto la Munafò: “Mancanza totale di ascolto”. Potrebbe passare alla storia come la prima ad aver voltato – ufficialmente – le spalle al governatore.

Paolo Mandarà :Giovane siciliano di ampie speranze

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