L’ultima arrivata è Giovanna Rappa, che va a rafforzare il plotone palermitano: cinque consiglieri comunali e un assessore. A dare forma ai numeri, però, sono le parole di Giorgio Cipolla, commissario cittadino della Balena Bianca (un po’ rivisitata): “La DC cresce e nessuno può fermarla. È un dato di fatto: siamo una realtà coesa, concreta e attraente”. Già, nessuno può fermarla. Come ai tempi d’oro. E grazie a un personaggio sopravvissuto al carcere e alle polemiche. Totò Cuffaro ha rimesso in piedi un partito sepolto, saccheggiato dalla Seconda Repubblica; anche se molti dei sedicenti compagni d’avventura (di un tempo) non accettano che qualcuno (oggi) ci stia riprovando. Con successo.

Gli hanno negato il simbolo e qualcuno continua a negare la realtà. Dicendo che la Democrazia Cristiana è un’altra cosa, e quello di Cuffaro è un surrogato. Ma l’ex presidente della Regione guarda avanti. Dal suo ritorno in campo – da padre nobile, s’intende – sono trascorsi tre anni. Dal ritorno ufficiale della DC alle competizioni, uno e mezzo. In questi mesi è successo di tutto: le affermazioni elettorali a Palermo, alla Regione e nei comuni, la riabilitazione da parte del Tribunale di Sorveglianza, un film sui 1768 giorni trascorsi a Rebibbia, l’asse di ferro con Forza Italia. Ci sarebbe anche il tentativo di espandersi a Roma (operazione già avviata in Sardegna). Nel frattempo, sabato, si riparte dal congresso regionale, per stabilire le nuove gerarchie: Cuffaro al momento ricopre la doppia veste di segretario regionale e nazionale. “Credo che proprio questa plurale e coesa vivacità interna ad una forza politica sia il primo ed effettivo contributo alla vita democratica di una regione così come a quella di un intero Paese – ha detto alla vigilia -. Una grande vivacità, quella della Democrazia Cristiana, da custodire come un bene prezioso anche con la più rigorosa e ferma attenzione nella selezione della propria classe dirigente così come dei semplici iscritti e col netto rifiuto di qualsiasi riduzione della vita di partito a mere logiche di apparato e di potere”.

Il seme è germogliato in fretta e chi credeva che Cuffaro fosse un personaggio stantio – il reprobo, il mascariato, il pentito, il redento – consegnato alle pagine ingiallite della storia (o a qualche spezzone televisivo su Youtube), ha dovuto fare i conti con lui. Molti se ne tengono alla larga per pudore: non accettano che un “condannato” possa riappropriarsi dell’agone pubblico. Molti gli si oppongono con lealtà, altri vorrebbero approfittare della sua bravura e delle sue letture (politiche) per farsi trainare in qualche modo. “Adesso dobbiamo stare ulteriormente attenti, perché potrebbe esserci un allargamento della nostra famiglia e allora dobbiamo essere severi e puliti. Se lo saremo, stravinceremo dappertutto”. Parole che coincisero con l’arresto di Agostino Genova, assessore di Partinico, a causa di un episodio di corruzione. Via, espulso. Perché qui – sembra il messaggio subliminale – non si sgarra più. Abbiamo già dato.

Oggi, invece, Cuffaro pensa solo a ridare vigore all’azione politica. A rinfoltire lo schieramento con pezzi da novanta (vedi Carmelo Pullara nell’Agrigentino) e umili gregari. Di questi ne è piena la Sicilia. A Marsala è stato costituito un gruppo in Consiglio comunale grazie all’adesione di Walter Alagna e Gaspare Di Girolamo. A Partanna si sono aggregati i consiglieri Anna Li Causi e Antonella Mendolia. A Palermo, prima della consigliera Rappa, era toccato a Salvatore Di Maggio. Nomi che – con tutto il rispetto – non diranno nulla al grande pubblico. Ma è il mastice che tiene insieme l’impalcatura e consente a Cuffaro di entrare nella vita dei territori, di cui conosce a menadito storie e interpreti, e non soltanto in quella landa desolata che è la Regione, ricca di anfratti e povera di governo.

Ma perché Cuffaro va così di moda? Schifani, sempre molto attento ai sondaggi, ne avrà commissionato uno per scegliere il cavallo su cui puntare. L’alleato che è sempre meglio avere dalla propria parte, senza infingimenti (e ne riceve in cambio protezione: sulla Sac, sulle nomine dei manager della sanità, persino sulla composizione della giunta di Palermo). Già, ma a cosa è dovuta la sua ascesa? Al carisma, all’esperienza amministrativa, al calvario vissuto con dignità. Probabilmente alla debolezza e allo smarrimento delle opposizioni, che non sono riuscite a coprire un vuoto politico lampante e disarmante (il tasso di astensionismo che cresce a ogni occasione).

Ma oggi Cuffaro è – anzi, è tornato ad essere – il dominus della politica siciliana. Organizza congressi come fossero acqua fresca; e momenti di socialità, come la Festa dell’Amicizia di Ribera dove si esibiranno persino i Cugini di Campagna, per rievocare il rispetto delle tradizioni e l’appartenenza a un mondo. “Sono Democristiano – ha scritto nel suo manifesto – perché ho amato e servito la mia Terra fino al sacrificio e la amo ancora con tutta la forza della mia passione e umilmente la voglio continuare a servirla. Sono democristiano perché penso che la politica debba essere la più alta forma di servizio per gli altri e perché non posso e non voglio rassegnarmi nel credere che possa tornare a esserci la politica, quella buona”. Chissenefrega se è diventato un personaggio da meme col suo “I am a drink” o intonando “Bella ciao”. Ci sono storpiature che ti tornano utili.

E’ bravo con le parole, Cuffaro. Ha scritto anche dei libri. Ma soprattutto conosce l’arte del governo e quella del compromesso. Le ha praticate più volte nella propria vita, non se n’è mai dimenticato. I suoi assessori, alla Regione, si occupano di enti locali e politiche del lavoro. Qualcuno considera la sua presenza ingombrante e arriva a denunciarla (con la storia del miliardo e settecento milioni di fondi europei accentrati nelle sue mani). Lui tira dritto: “In merito all’articolo apparso su “La Sicilia” relativo alla gestione dei fondi Ue destinati ai Comuni, con cui vengo tirato in ballo non so da quale parte politica anche se ho la mia idea, e per quale interesse (anche su questo ho la mia idea), rilevo una notevole dose di approssimazione e un gran numero di imprecisioni”. Non importa quali, importa un altro aspetto: che lui s’è accorto dello sgambetto e imparerà a gestirlo. D’altronde sa già di chi fidarsi, e di chi no. La notizia vera è che un sacco di gente ha ripreso a fidarsi di lui.