Era de maggio tanto per cominciare con una citazione pertinente. Si andava per tonno ai ferri (di cui va pazzo) e cannoli (altrettanto). Si andava sotto il ficus di piazza Marina (da cui è stregato da sempre). Anno di grazia 1996. Lui, Massimo Ranieri, provava Le mille e una notte, una delle folli, meravigliose utopie sceniche di Maurizio Scaparro e non s’era ancora deciso. Insomma, ci aveva spiazzati anni prima con il ritorno a Sanremo (alla grande) di cui ci aveva detto in anteprima in un camerino del Teatro Biondo ad un soffio di minuti dalla “generale” di Rinaldo in campo, dicembre 1987, e due mesi dopo, febbraio ’88, era stato un plebiscito, un inno nazionale, perdere l’amore, quando si fa sera, quando un po’ d’argento tra i capelli li colora… Era tornato a Sanremo altre due volte, Ti parlerò d’amore («bella ’sta canzone che t’ha scritto Gianni Togni») e La vestaglia («un po’ alla Aznavour, molto malinconica, ha una tristezza più che in filigrana…, «guaglio’, ma che vulìte dìcere, che è un po’ depressiva…?»). Ma insomma, non si decideva nonostante fossimo diventati i suoi stalker, io e Maria Elena Vittorietti.
Anni di amicizia, di chiacchiere, di telefonate, di incontri al festival, a Palermo o altrove. «Tu devi tornare a fare i recital, a riproporre le tue canzoni, quelle vecchie e quelle nuove, i classici napoletani…». Titubava, prendeva tempo. “Le serate” le chiamava ancora così, come nei favolosi anni ’60. «Voi dite che devo tornare a fare le serate? Ma io aggio ’o teatro…». «Appunto, in teatro, cantare d’altronde è un altro modo di recitare, e poi tu non sei solo un cantante, sei anche un interprete». Era diventato un mantra, un tormentone da ipnosi. E’ passato quasi un quarto di secolo e però oggi, con una punta d’orgoglio, possiamo dire che ci avevamo visto giusto, che il consiglio s’è rivelato azzeccato.
Okay, d’accordo, in mezzo ci sono state le fiction, le prime serate televisive (quasi una trasposizione per il piccolo schermo dei suoi show dal vivo – che fanno il 12% la domenica pomeriggio, d’estate, al terzo passaggio in replica), i nuovi dischi (anche questi spesso estratti dai “live”), altre edizioni di Sanremo perché a lui la sfida è sempre piaciuta, perfino un paio di autobiografie, ma lo spettacolo musicale – da un quarto di secolo – è tornato al centro dei suoi pensieri, grandi orchestre, formazioni più piccole magari tutte al femminile, fra teatri classici, auditorium, arene, stadi, e nuovi arrangiamenti tra i Quartieri Spagnoli, la Medina e l’Alhambra, coreografie e frenesia di ballare, un continuo cambiar costume tra un brano e l’altro, sfide ginniche per mettere alla prova diaframma e intonazione, con la complicità per i testi del suo ormai inseparabile sodale artistico Gualtiero Peirce.
Questa nuova proposta – che sbarca il 1 agosto a Taormina al Teatro Antico e il 2 a Palermo nel cartellone di “Porto d’Arte” al Castello a Mare – si intitola Malia napoletana ed è una nuova scommessa perché rivisita in chiave jazz caposaldi del repertorio partenopeo degli anni ’50 e ’60, da Malafemmena a Dove sta Zazà, da Strada ‘nfosa a Torero, un’idea che gli era nata alcuni anni fa e che era già sfociata in un album dallo stesso titolo. Ad accompagnare Ranieri saranno alcuni tra i più bei nomi del côté jazzistico italiano: Stefano Di Battista ai sassofoni, Enrico Rava alla tromba e al flicorno, Rita Marcotulli al pianoforte, Riccardo Fioravanti al contrabbasso e Stefano Brushman Bagnoli alla batteria.
Ovviamente ci saranno i classici della sua strepitosa carriera pop (15 milioni di dischi venduti), da Rose rosse a Perdere l’amore, da Erba di casa mia a Se bruciasse la città. E un angolino particolare spetterà a Vent’anni di cui, con qualche mese d’anticipo si festeggia il mezzo secolo, un’altra, importante vittoria di Ranieri (dopo le Rose rosse del Cantagiro), a Canzonissima.