“Con tutto il rispetto per gli autori, non capisco perché in musica “Tre parole” (“dammi tre parole: sole, cuore, amore…”) debba essere tutelata, sul versante dei diritti d’autore, alla stregua di una canzone di Fabrizio De Andrè mentre una foto di cronaca non possa essere protetta allo stesso modo di una cosiddetta fotografia d’arte. Finora, a stabilire il confine tra un’immagine di grande valore estetico e una da copertina o da prima pagina sono stati quasi sempre dei giudici e non mi sembra, al di là di eventuali perizie, che sia il loro mestiere”.
Viene il momento in cui uno si scoccia ed è arrivato anche per Tony Gentile, fotoreporter acclamato, che ha riempito per anni le pagine dei quotidiani e dei settimanali e l’archivio dell’Agenzia Reuters di cui è stato firma: Gentile stamattina ha portato al culmine della visibilità la sua battaglia per un riconoscimento equo di chi per anni è andato “sul posto” a testimoniare, spesso più efficacemente di quanto potesse fare un articolo, un avvenimento triste o gioioso che fosse. Per opere della creazione umana assai meno considerate e difese, nella nostra normativa giuridica, di quelle dei cosiddetti maestri dell’immagine. Barattolo di vernice bianca e pennello alla mano, Gentile ha “imbrattato”, o se volete “cancellato”, un’immagine-icona, uno scatto-simbolo, una sua foto che in 28 anni è diventata patrimonio dell’umanità senza nessun bisogno di certificazione Unesco: Falcone e Borsellino in atteggiamento sorridente che si dicono qualcosa sottovoce nel corso di un convegno. Era riprodotta, la foto, che ha avuto milioni di riproduzioni, da quelle istituzionali al merchandising delle kermesse di partito, su un banner affisso all’angolo dello stesso muro laterale dell’Istituto Nautico di Palermo, tra la Cala e il Foro Italico, dove campeggia il grande murale che replica proprio quell’immagine.
La data post-celebrazioni di Capaci e di via D’Amelio c’entra poco, assicura il fotoreporter. «Sono questi, invece,i giorni, in cui una Commissione di Palazzo Madama sta accogliendo, in sede di diritto d’autore per le fotografie, attraverso alcuni emendamenti alla vecchia legge, le nuove norme europee riguardo a questa materia. Il distinguo del nostro ordinamento non ha più senso: la foto d’arte viene blindata fino a 70 anni dalla morte dell’autore, quella di cronaca fino a 20 anni e solo dal momento in cui il fotoreporter ha fatto “clic”. Dopo diventa proprietà pubblica».
Così come è accaduto all’immagine dei due giudici insieme sorridenti poco prima che la mafia ne facesse scempio. «Sono felice, certo, che sia diventata un simbolo, un’icona, ma soprattutto la prima immagine dei due magistrati che sopravviene alla memoria collettiva. Proprio per un motivo di legalità, di diritto, di dignità nei confronti di ogni lavoro, era l’immagine giusta, quella che meglio di ogni altra si prestava a questa dimostrazione pubblica per una battaglia che porto avanti da tempo. Io ho 58 anni ma mi chiedo: è giusto che un giovane collega, tra vent’anni, non possa più vivere del suo archivio perché ogni tutela sulle sue foto di cronaca è scaduta?».
Un tirata di giacca anche per l’Ordine dei Giornalisti. «Perché l’articolo di un collega giornalista viene tutelato più dello scatto di un fotoreporter – si chiede Gentile –, non ho fatto anch’io a Roma lo stesso esame di abilitazione professionale? Non ho anch’io il tesserino dell’Ordine? Ecco, oltre che chiedere ai legislatori, sarebbe il caso che anche dentro casa facessimo un piccolo esame di coscienza».