La Corte di Cassazione, a novembre dell’anno scorso, aveva stoppato il ricorso di un dirigente di terza fascia contro il mancato rinnovo ai vertici del dipartimento Finanze e credito, imposto dalla Corte d’Appello. Ma Schifani che fa? Ovviamente lo nomina. Salvatore Taormina, infatti, ha assunto i gradi di nuovo capo dipartimento agli Enti locali. Una posizione apicale che secondo i giudici non gli spettava. Ma nella repubblica indipendente di Sicilia, la Regione è abituata a procedere in aperta violazione di legge (come dimostrano numerose sentenze legate ai “funzionari” di terza fascia). Questa non fa eccezione.
Schifani, sull’onda lunga del suo predecessore, decide di avallare una stortura che gli organi competenti, più volte, hanno condannato in maniera aperta e inequivocabile. Ma a Palazzo d’Orleans va anche un altro demerito: non aver mai avviato, né con Musumeci né con Schifani, una riforma che persino Roma ha richiesto a gran voce e che prevederebbe la creazione di un’unica fascia dirigenziale (dato che le prime due sono sull’orlo dell’esaurimento). Macché. Se dai banchi del governo non arriva una sola proposta di legge per far lavorare deputati e commissioni, figuratevi le riforme organiche come quella della pubblica amministrazione.
Nel silenzio tombale della politica, l’unica voce critica è quella del deputato del Pd Nello Dipasquale. Che ha presentato un’interrogazione all’Ars – chissà quando gli risponderanno – e si dice pronto “ad adire le autorità competenti perché sia definita la legittimità di quanto sta accadendo. È fin troppo chiaro che la Regione attribuendo incarichi contro le norme vigenti si espone al rischio di nuovi ricorsi e al dubbio che gli atti non abbiano la legittimità che si richiede”. Più che il dubbio v’è quasi la certezza di una condotta d’illiceità. Di una forma di stravaganza (o strafottenza) politica che tutti continuano ad avallare. Ormai non servono neppure gli alibi. Al limite verrà impugnato tutto quanto o, nella migliore delle ipotesi, la condotta verrà segnalata in qualche relazione della Corte dei Conti. Si rischia un danno potenziale all’erario. E tutti amici (e dirigenti) come prima.