Marco Tarquinio è un cronista in carriera, già direttore di Avvenire, il quotidiano della Cei da lui riposizionato prontamente dopo la caduta di Dino Boffo in seguito a una campagna di diffamazione e, sopra tutto, dopo l’eclissi di Camillo Ruini come influente cardinale dell’era giovanpaolina e ratzingeriana. Una ottima persona, intendiamoci, con il suo professionismo e bergoglismo d’ordinanza, ma la sterminata corposità e lunghezza della lista dei premi da lui ricevuti e, peggio, meritati, indicano una certa modestia di orizzonti, la carriera di un commendatore (è anche Commendatore) delle patrie lettere giornalistiche. Nel 2023, a un anno dall’invasione dell’Ucraina, ha mollato il giornale che dirigeva con discreti risultati editoriali, e ha ripreso con molta insistenza ad affacciarsi ai talk-show per rappresentare il partito della pace, da commendatore a commentatore, insomma bandiera bianca. Ora il Pd, che ha un penchant infallibile per i personaggi un po’ grigi, appena ne vede uno lo blocca e lo imbarca, vorrebbe candidare Tarquinio a Strasburgo, operazione non smagliante e politicamente ambigua ma legittima.

Tarquinio è quel che si dice un piccolo caso, un pesce piccolo della opinionologia, e anche un pesce in barile, se vogliamo, non ha il glamour assurdista di un Cacciari, che una ne fa e cento ne pensa, o lo spirito parruccone e un po’ cinico dell’intelligenza russo-snob, che è una delle infinite e più recenti incarnazioni del radical-chic, roba d’altri, delle Barbara Alberti, delle Ginevra Bompiani, delle Barbara Spinelli. Venendo da un mondo di cattolicesimo solidale e dottrinario, alla Raniero La Valle, ha posizioni blandamente kirilliste, anche rispettabili in certi casi, sulle questioni oggetto delle guerre culturali e di valore più importanti, dall’aborto all’eutanasia al gender, ma senza mai esagerare e, se vogliamo, senza mai incidere, così, per dovere conforme. Al confronto con certi gran buffoni del pensiero cirillico, filologi divulgatori e mezzi prof, il cui nome risparmiamo per decenza al lettore, è perfino un moderato, un compassato. Ciò non toglie che un capello di Vittorio Emanuele Parsi basterebbe a legargli intellettualmente le mani e a metterlo al suo posto di banale follower dell’andazzo pacifista più convenzionale. Continua su ilfoglio.it