L’adozione del nuovo nomenclatore tariffario (PUNTATA 1) e il vincolo del Piano di Rientro dal disavanzo sanitario (PUNTATA 2), che impedisce alla Regione di sopperire ai “tagli” operati da Roma nei confronti di laboratori analisi e ambulatori specialistici, rischia di mandare nel caos le strutture private convenzionate, riducendo le possibilità di cura per i pazienti.

Una prospettiva dannosa, cui contribuiscono le decisioni del Tar del Lazio: oggi, infatti, i giudici del tribunale amministrativo hanno revocato il decreto con il quale veniva sospeso (ieri) il Tariffario delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica, ovvero le cure e le prestazioni garantite ai cittadini dal Servizio sanitario. L’istanza di revoca è stata depositata dall’Avvocatura dello Stato in data odierna per conto del ministero della Salute. “Preso atto della dichiarata gravità delle conseguenze della sospensione del decreto che determinerebbero il blocco del sistema di prenotazione ed erogazione” dei servizi “con un impatto sulla salute dei pazienti”, il Tar ha deciso di revocare il decreto confermando l’udienza in camera di consiglio per il 28 gennaio.

La Regione se ne rimane in silenzio. La sanità siciliana, che non ha mai goduto di buona salute, rischia infatti di incagliarsi nelle pastoie burocratiche che, di fatto, limitano l’erogazione di molte prestazioni. A partire dagli esami di laboratorio. Con l’introduzione delle nuove tariffe, che prevedono un taglio secco dei rimborsi (15-20% di media), come ci si comporterebbe con le impegnative emesse dai medici di base prima della deadline di gennaio? E’ previsto un periodo di transizione affinché pure loro possano adeguarsi ai cambiamenti in atto e fornire ai pazienti delle informazioni certe sul percorso da compiere e sui relativi costi?

Prendiamo, a titolo d’esempio, il cosiddetto “esame clinico reflex”, cioè un approccio diagnostico utilizzato in medicina di laboratorio o radiologia, in cui il risultato di un esame iniziale (“screening”) guida automaticamente l’esecuzione di ulteriori test (“reflex”) senza richiedere una nuova richiesta da parte del medico. Esso è progettato per approfondire o confermare una diagnosi quando il risultato iniziale soddisfa determinati criteri. Prendete l’esame del PSA, cioè la proteina prodotta dalla cellula della prostata, misurabile nel sangue. Quando il valore del test supera il valore di soglia, viene attivato il protocollo reflex per approfondire gli accertamenti (dal PSA libero al PSA density: l’obiettivo è emettere diagnosi più accurate, evitando i falsi positivi e riducendo le biopsie inutili).

Essi verranno eseguiti dalla struttura convenzionata senza costi aggiuntivi. Forse. Con il taglio delle tariffe, infatti, si rischiano delle limitazioni: la prima è che molti laboratori potrebbero essere meno incentivati a includere test reflex nei protocolli standard, poiché l’esecuzione automatica di esami aggiuntivi potrebbe non essere sufficientemente remunerativa. La conseguenza diretta di questo atteggiamento “conservativo” è che i pazienti potrebbero dover tornare dal medico per richiedere ulteriori analisi, allungando i tempi e ritardando il trattamento (non è detto che sia una bene, soprattutto in patologie che richiedono interventi rapidi). La qualità del servizio, in generale, ne risentirebbe. La revisione del sistema, inoltre, potrebbe comportare una maggiore responsabilità per i medici richiedenti, che dovranno indicare a priori le necessità diagnostiche, limitando la flessibilità e l’adattabilità dei protocolli reflex. Siamo pronti a tutto questo? Lo dirà il tempo, visto che nessuno – al netto delle decisioni romane, recepite dalla Regione – ha approfondito gli interrogativi, offrendo delle soluzioni-tampone. O, al contrario, adottare un periodo di transizione che consenta di adeguare le esigenze del pubblico a quelle dei convenzionati.

Convenzionati che si ritroveranno con l’acqua alla gola, per la carenza di risorse e l’inevitabile surplus di personale: fino a quando potranno resistere? Per rispondere a questa domanda bisognerebbe capire le reali intenzioni della Regione. Se e quando gli uffici di piazza Ottavio Ziino, d’accordo col Ministero della Salute, possa “infrangere” i termini del Piano di Rientro – che dura ormai da quasi 18 anni – e intervenire finanziariamente per calmierare le perdite di laboratori e ambulatori. Un conto è stringere i denti per un periodo limitato, con la prospettiva di poter contare su un aiutino da parte della Regione; un conto è dovervi rinunciare per sempre e pagare sulla propria pelle lo scotto delle decisioni assunte dall’alto (e magari essere costretti a chiudere).

“Il mio governo ha sempre creduto nella sinergia tra pubblico e privato – ha detto qualche giorno fa il presidente Renato Schifani, durante l’inaugurazione di una sala operatoria ibrida al Maria Eleonora Hospital – Riteniamo che il contributo dei privati all’avanguardia sia elemento importante per raggiungere, al fianco della sanità pubblica, gli obiettivi in tema di salute che ci siamo prefissati nell’interesse dei siciliani”. E ancora: “Sono fermamente convinto che la salute è un bene primario e non deve essere divisiva ma inclusiva, per questo non vedo competizione tra pubblico e privato”. Parole di buonsenso a cui dovrebbero seguire i fatti. A partire dal tentativo di armonizzare questo cambio drastico imposto ai convenzionati dal “Catalogo Unico Regionale”, attraverso un tavolo che possa includere un ragionamento sul Piano di rientro. Che di per sé rappresenta una forma di autonomia differenziata su un tema – la sanità – che invece non meriterebbe discriminazione alcuna.

Quando vuole, d’altronde, la politica riesce. Qualche settimana fa si era posto il problema del farmaco Baqsimi, il glucagone in versione spray nasale destinato ai casi di ipoglicemia più gravi. Esso è considerato un farmaco indispensabile nel trattamento delle emergenze diabetiche, grazie alla sua somministrazione rapida e non invasiva. Tuttavia, da circa un anno, era stato classificato in fascia “C” e quindi a carico del paziente, per mancata accettazione da parte della ditta farmaceutica della revisione degli accordi negoziali. Schifani, in una lettera indirizzata al ministero della Salute, aveva denunciato un sistema eterogeneo in cui alcune Regioni, in condizione di consentire prestazioni extra Lea (Livelli Essenziali di Assistenza), avevano adottato provvedimenti specifici per l’erogazione gratuita del farmaco e altre, specialmente quelle sottoposte a piano di rientro (come la Sicilia), che non avevano la possibilità di accedere a questo strumento. Il parere dell’AIFA (Agenzia italiana del Farmaco), ha dato ragione alla Sicilia e il farmaco sarà rimborsabile. Perché non partire da questo precedente e – in attesa della Camera di Consiglio del Tar del 28 gennaio – spingersi oltre, riscrivendo i termini del Piano di Rientro ed evitando alla sanità siciliana un capitombolo preannunciato?