Partiamo dalla fine: dal prossimo 2 luglio Maurizio Zamparini, che al momento si trova agli arresti domiciliari presso la sua tenuta di Aiello del Friuli, dovrà comparire di fronte alla quarta sezione del tribunale di Palermo, per difendersi dall’accusa di falso in bilancio e false comunicazioni sociali. L’inchiesta riguarda la gestione finanziaria del Palermo calcio dal 2013 al 2017, quando l’imprenditore friulano era ufficialmente il patron e, per un pezzo, il presidente del club di Viale del Fante. Restano in sospeso altre accuse, dall’auto riciclaggio all’appropriazione indebita, che sono ancora al vaglio degli inquirenti e potrebbero portare a un processo-bis (o all’archiviazione). Quello che si celebra dal 2 luglio, invece, vede Zamparini unico imputato e altri 7 indagati, tra cui il figlio Paolo. A causa di una gestione dissennata – il falso in bilancio, stando alla Procura, avrebbe permesso al club di “conservare” un profilo finanziario solido e iscriversi regolarmente ai campionati – il Palermo ha rischiato già una volta la procedura fallimentare, che la sezione del Tribunale ha rigettato a marzo del 2018 (ma è in stand-by una seconda procedura di segno simile). Ciò significa che il male procurato ai rosanero potrebbe ripercuotersi non soltanto su Zamparini, ma sull’intero patrimonio calcistico di Palermo, passato dal sogno europeo al peggiore degli incubi: il fallimento.
Che per la verità non è ancora scongiurato. In questa stagione di Serie B, condita da qualche prestazione sportiva incoraggiante che in pochi ricordano, il Palermo ha vissuto col fiato sul collo della Covisoc, una specie di Corte dei Conti dell’ambiente pallonaro. E per ben due volte è finita a un passo dalla penalizzazione in classifica che sarebbe costata la rincorsa alla Serie A, e avrebbe finito per scongiurare l’ipotesi che un acquirente, finalmente serio, decidesse di avventurarsi (mai verbo fu più adeguato) e rilevare la società. I due si sono opposti al -4: l’imprenditore Dario Mirri, che a febbraio si è sobbarcato una spesa di quasi 3 milioni di euro per pagare gli stipendi ai calciatori (ottenendo in cambio la gestione pubblicitaria dello stadio); e il solito Maurizio Zamparini, attraverso una fidejussione bancaria a garanzia degli emolumenti. Nel frattempo due “uomini del presidente”, Rino Foschi e Daniela De Angeli, avevano già assunto in via fiduciaria il controllo della società dopo l’uscita di scena più che mai provvidenziale di un gruppo inglese che lo stesso Zamparini, nel dicembre scorso, aveva fatto accomodare nel prestigioso salone di casa senza una benché minima garanzia della loro tenuta finanziaria (d’altronde, neanche il Palermo ne aveva: gli enormi debiti del club sono stati svelati poche settimane fa a Dario Mirri, che ha preteso e ottenuto un report completo sui bilanci del club).
“Non so se questa è una giornata bella o triste – aveva detto il Zampa nella conferenza che sanciva il passaggio di consegne, lo scorso 4 dicembre, a Sport Capital Group – ma dando la squadra a loro sto facendo l’ultimo regalo alla città”. Nel giro di pochi mesi l’ex patron, già ai domiciliari, avrebbe spinto i suoi avvocati a mettere in mora gli inglesi, che non avevano pagato un solo euro di debito rispetto a quelli che si erano impegnati a ripianare. E lo stesso Emanuele Facile, testa di ponte fra vecchia e nuova proprietà, fu costretto a fare le valigie dopo aver respinto l’ultimo assalto di un altro imprenditore, il foggiano Raffaello Follieri, che puntualmente torna a incrociare le sue sorti con quelle del Palermo calcio e anche nelle ultime settimane ha provato (invano) a trovare un accordo con Foschi, il presidente “per conto terzi”, per acquistare il club. Ma cos’avrà questo Palermo per fare così gola?
Sicuramente un passato glorioso, che dopo la risalita dalla Serie B certificata dai 30 gol di Luca Toni nel campionato 2003-04, rischiava di tramutarsi in un presente formidabile, quando nell’estate del 2009 Walter Zenga, ex portiere di Inter e Nazionale, diventandone l’allenatore, disse di puntare dritto allo scudetto (ma finì esonerato). Ma davvero la squadra andò più volte a un passo dalla Champions. Divenne difficile – con Zamparini pressoché impossibile – gestire invece le fasi della normalità, non appena il Barbera ricolmo d’amore cominciò a svuotarsi inesorabilmente, dopo essersi accorto che l’infatuazione iniziale (Zamparini subentrò nel 2002 alla famiglia Sensì) si trasformò in squallido business. Solo quello. E già dal 2012 si manifestarono i primi segni di cedimento. Che tradotti nel pensiero di Zamparini risuonano più o meno così: “Palermo non mi merita, adesso vendo”. E intanto continuava a macinare allenatori. Allenatori e papabili acquirenti. Fino ai giorni nostri.
Non decollò, già quell’anno, la trattativa con gli arabi di Ama Group, che nel corso di una conferenza stampa avevano manifestato tanti di quegli apprezzamenti da farli sembrare veri. Era un periodo di splendore – l’anno prima la squadra fu battuta in finale di Coppa Italia – e una cessione del club avrebbe portato guadagni da un lato (per Zamparini) e investimenti certi dall’altro (per il Palermo). Ma si chiuse con un nulla di fatto. Anzi, Zamparini etichettò le avances arabe come il classico tentativo di truffa. Tre anni più tardi toccò ai messicani di Comex farsi sotto: un’azienda produttrice di vernici e materiali per l’edilizia con un patrimonio gigantesco (prossimo al miliardo di euro). Nonostante la fiducia iniziale, anche questo tentativo naufragò nel mare incerto della Favorita. Pochi mesi più tardi persino i cinesi rischiarono di abboccare. Era l’anno della Serie B e ai potenziali investitori, più che le sorti della squadra, interessava il nuovo centro sportivo e la costruzione di un grande albergo. Anche stavolta un buco nell’acqua. La cosa che non fu mai chiara – è impossibile accertare la verità al rintocco di una campana sola – è se questi tentativi fallirono per colpa di Zamparini o dei suoi interlocutori, ritenuti poco credibili. O magari per colpa di entrambi.
Un’idea se la sarà fatta Frank Cascio, l’ex manager americano della popstar Michael Jackson, sbarcato in Sicilia nel 2016 e nel 2017 e intenzionato ad acquisire le quote di maggioranza del club. La prima volta porto con sé due figure da inserire nell’organigramma societario: l’ex giocatore di baseball Mike Piazza e il meno noto John Viola, che quando Instagram non era ancora Instagram, utilizzò i social per fare sognare i tifosi. La seconda volta Cascio arrivò come ambassador del marchio “Gustoso”, ma anche in quella circostanza non ebbe la forza di passare al “dunque”: e l’ipotesi si è arenata. Chi riuscì, invece, a sedersi allo stesso tavolo di Zamparini per confezionare il closing di fronte ai giornalisti fu uno dei personaggi più eccentrici passati da Palermo: l’ex Iena Paul Baccaglini, nelle vesti di capo-cordata di un gruppo americano. Ma se di fronte alle telecamere era tutto fatto, e Baccaglini riuscì a diventare persino presidente del club e rilasciare interviste (si fece addirittura tatuare l’aquila rosanero sul fianco), Zamparini studiò bene le carte e decise che non era cosa: il 1° luglio 2018 annunciò che “salta tutto” perché mancano le solite garanzie finanziarie.
Il resto è storia dei giorni nostri. Prima arriva Follieri, che si presenta con un bonifico da 40 milioni per convincere Zamparini a cedere. Non basta. Poi Sport Capital Group, che si presenta con dieci euro (letteralmente, il costo dell’operazione di acquisto da parte degli inglesi) e con David Platt, ex bandiera sbiadita di Samp e Juventus, l’unico a saper parlare un pizzico d’italiano a quella conferenza stampa del 4 dicembre, dove i silenzi furono più delle parole. E dove il presidente incaricato, Clive Richardson, non volle svelare nemmeno sotto tortura i nomi e i volti legati a questo storico passaggio di proprietà. Che si rivelò una presa per i fondelli epocale, durata lo spazio di pochi mesi. Gli inglesi furono accolti e scaricati da Zamparini, che nel frattempo istruiva i suoi avvocati per venire a capo di un processo difficile e dall’altro i suoi fedeli, la Daniela De Angeli e il Rino Foschi, per salvare temporaneamente capra e cavoli ed evitare il linciaggio della piazza.
Ricordate il famoso regalo di Zamparini come sua ultima mossa da proprietario? Sembra un deja vu, ma qualche giorno fa Rino Foschi ha annunciato che la cessione del Palermo è vicina. Magari agli americani di York Capital, anche se le conferme e le smentite si susseguono al ritmo del giorno e della notte. “Questo sarà il mio ultimo regalo ai tifosi del Palermo” aveva detto Foschi, preannunciando l’uscita di scena. Laddove lo scherzo rasenta la finzione provoca turbamento. E i tifosi non ne possono davvero più di quello che pareva un sogno fresco di stampa che rischia di diventare un incubo. E nella peggiore delle ipotesi, carta straccia.